The Docks (Napoli)

Progetto Piave è una specie di miraggio nel deserto ben costruito di una periferia carente di tutto, con una sola (splendida) biblioteca pubblica dove io – e molti altri bambini della mia età – ho iniziato ad amare la lettura e la scrittura, unica possibilità di riscatto sociale.

Siamo a Soccavo, periferia occidentale di Napoli, quartiere popolosissimo sotto il Vomero ed accanto a Fuorigrotta, che l’associazione di promozione sociale The Docks ha scelto come casa.

Ufficio e birrificio si affacciano sui treni della Eav (Ente Autonomo Volturno) che credo sia in cima ai peggiori incubi dei pendolari campani. 

Attualmente questa ferrovia regionale campana ha 40 nuovi cantieri in giro per il territorio feudo di un presidente della Regione eletto da un partito centro-sinistra che se ne vergogna ed è ininterrottamente al potere da tre mandati – un’agghiacciante realtà imitata da tutti i comici della penisola. 

Questa stazione non è nel novero dei cantieri ma da oltre 20 anni aspetta il raddoppio di un binario che permetterebbe una frequenza di treni a 10 minuti invece che gli attuali 20, mai rispettati (le frequenze medie in altre città si attestano a 5/7 minuti già da 20 anni). 

Scandali e commissariamenti si susseguono senza soluzione. 

L’open space di Progetto Piave è sopra la stazione Piave della Circumflegrea, restaurata nel 1991 dall’Architetto Nicola Pagliara: un modernismo tutto campano strizza l’occhio quasi al brutalismo in mezzo ad un consistente verde inconsapevole che copre come un panno pietoso tutte le malefatte, i binari costruiti ma inattivi.

La prima associazione di promozione sociale di questo quartiere dedicata alla fotografia e alla sua editoria nata nel 2020 in pieno lockdown, si racconta a #slowwords alla vigilia del suo primo festival internazionale, dal 3 al 5 giugno, arricchito anche da una call per fanzine fotografiche (Raise Your Zine). 

Già assegnato il premio: va a Flavie Guerrand (Francia, 1977, vive e lavora a Berlino). Guerrand ha creato una fanzine che può essere utilizzata (visto che è a fogli sciolti rilegati da una piccola ed elegante fascia di cartone) come raccolta di poster o per imbastire una piccola mostra di sogni dovunque venga spedita. Parla di raver infatti.

Il festival presenta un serratissimo calendario di conferenze, esposizioni e dj set pomeridiani-serali. Ci saranno – oltre ai fotografi – videomaker, documentaristi ed editori puri con i loro libri.

Insieme a Pianura, quartiere dalle enormi criticità funestato da una discarica ampliatasi a dismisura, Soccavo ha una popolazione di oltre 106.000 abitanti per la maggioranza giovani: non esiste un cinema, un centro sociale o ricreativo o altre istanze culturali. E’ uno dei tanti, sterminati quartieri dormitorio italiani.

The Docks, che parla solo in inglese ed edita anche una collana di fanzine (Trentatrè) dedicata ai quartieri cittadini, è la prima esperienza culturale dopo i primi anni 90 con la fortunata meteora persistente del Tienament’, centro sociale autogestito che ha portato esperienze radicali in città oltre che le migliori band di progressive, ambient, rock o tribù techno che venivano da quelli che sembravano, all’epoca, altri mondi (possibili).

Incontriamo due dei componenti dell’associazione in rappresentanza anche di tutti gli altri – Roberta Fuorvia (curatrice) e David De la Cruz (artista): quest’intervista si svolge nel loro dehor.

Seduti su una lunghissima panca di piperno che precipita il portato della città storica su di noi anche se qui nessuno la immaginerebbe neanche per un secondo, siamo accarezzati dal fieno che strabocca dalle aiuole e dal rumore lento dei treni. Un piccolo cane che Roberta ha preso con sé da qualche mese, ci gioca intorno. Tutto sembra possibile così.



La vostra vita in poche righe fino a che non incontra quello dell’altro

Roberta | La faccio molto breve: nasco a Torre del Greco, mi sono trasferita molte volte nella mia vita – e ho cambiato moltissime cose e città: Napoli, Roma, Valencia, New York e poi di nuovo Napoli. Ho incontrato David penso la prima volta poco più di dieci anni fa perché è il compagno della sorella di un mio compagno di liceo. Ci siamo immediatamente trovati nella fotografia. 

A David: Ti ricordi che ci incontrammo al World Press e parlammo subito di fare un festival insieme? 

Lui annuisce vigorosamente

Dopo tutti questi anni veramente lo stiamo facendo.

Il mio primo approccio con la fotografia è stato da studentessa, parallelamente agli anni di studio all’Accademia di Belle Arti quando ho vissuto a Roma. Ho iniziato a scattare ma non ho mai amato i suoi ambiti più remunerativi dal punto di vista di un impiego (fotografia commerciale, post-produzione, etc). Stavo perdendo la vera essenza di cosa significhi per me fare fotografia. Ho deciso di abbandonarla per dedicarmi a progetti personali e non è andata molto bene come artista, forse mancava la maturità di propormi. Ho trovato la mia strada come curatrice, una parola che abbraccia tante professioni: dalla progettazione di mostre, all’editing di fotografia per libri o fanzine, fino all’organizzazione. Sì scelte artistiche ma molto direzionate dal punto di vista produttivo.

David | Nasco a Madrid, ho studiato a Barcellona e nei miei anni a Barça nasce il mio vincolo con Napoli, la mia compagna frequentava la mia stessa accademia e ci siamo conosciuti e amati lì. Diversi anni dopo abbiamo deciso di trasferisci a Napoli. Negli anni in cui conobbi Roberta, ero stato due volte in vacanza a Napoli. 

Due anni fa ci siamo re-incontrati nuovamente e abbiamo fondato l’associazione The Docks insieme anche a Pasquale, Federica e Andrea De Franciscis, Avevamo aspettative molto presuntuose all’inizio, ci siamo resi conto di dover ricalibrare e lo abbiamo fatto. Oggi siamo pronti a dare il benvenuto al nostro primo festival e concorso di fanzine. 

Sono un fotografo ma poi ho allargato il mio spettro creativo, oggi non lavoro solo con la fotografia. Non sopporto gli editori ed i curatori e questo mi ha dato impulso ad allontanarmi dalla fotografia.



E hai trovato una curatrice sulla tua strada

Infatti è semplicemente perfetto: quando si tratta di editing io scappo, ricordandomi che ho due figli da andare a prendere o portare a scuola!



Napoli vi ha ricatalizzati entrambi, vi ha dato un boost, un modo per ricominciare. E Soccavo è stato un caso o proprio una ricerca precisa di una determinata periferia?

David | E’ buffo, ogni mese dico categoricamente ‘vado via da questa città!’ ma non appena lo dico e trovo dove andare, Napoli mi fa apparire cose interessanti sulla strada. Ti fa trovare un fiore a cui non puoi rinunciare. Sono 10 anni che va avanti così. 

Soccavo è stata grazie a mio suocero, anche lui un creativo, che ha trovato questo posto che ci è sembrato subito fantastico. E quindi siamo qui. 

Roberta | la nonna del mio compagno vive qui e io mi sono sempre rifiutata di vivere in questo quartiere, è buffo anche per me ora che lavoro qui, passo moltissimo tempo in questo quartiere. 



Il vostro primo festival, oltre a presentare il progetto vincitore del primo concorso di editoria fotografica dedicato alle fanzine, porta a Napoli per una tre giorni molto intensa – tra mostre, stand di libri e djset – una serie di realtà professionali non solo del Sud Italia che rendono il densissimo calendario di talk un unico non solo in città. 

Mi sembra molto impegnativo. Come mai le avete scelte? La fotografia e l’editoria fotografica non mi sembra il focus esclusivo. Ci sono non profit che lavorano sul fundraising e sul design, creatori video ed esperti di graffiti. 

Roberta | Raise Your Zine Festival racconta proprio questo: se siamo dei grandi appassionati di editoria fotografia (che resta il tappeto di tutto il programma), avevamo la volontà di raccontare e trattare le arti visive in generale e abbiamo incluso cinema, musica (non è un’arte visiva propriamente detta ma lo può diventare: inoltre i dj set che presentiamo sono tutti in vinile), short movies e documentari in proiezione sono realizzati da fotografi o giovanissime realtà di produzione cinematografica. Sappiamo che oggi gli autori di produzione statica fotografica accompagnano sempre moving images ai loro progetti e volevamo raccontarlo.

Frequentando molti festival di fotografia in questi anni singolarmente (come gruppo ci siamo formati solo da due anni), abbiamo incontrato realtà interessanti con cui abbiamo stretto legami non solo perché siamo colleghi. 

Abbiamo anche deciso di non sovraccaricare troppo questa prima edizione con tanti editori e di dare il giusto spazio ad ognuno: proprio per questo sono nove e coprono diverse aree geografiche (Torino, Roma, Palermo, giovani realtà locali come la neonata Cratera che ha un mese di vita). 

L’attenzione è andata molto al locale per cercare di promuovere o salvaguardare la nostra realtà e abbracciare anche case editrici di respiro internazionale con interessi diversi, ad esempio Witty Books abbraccia l’artisticità polacca cosa che magari non ha Show Desk che abbraccia la street photography.



Età media dei vostri espositori?

David | 30-40?

Roberta | 30-45?



Voi quanti anni avete?

David | 40

Roberta | tra poco 37



The Docks ha due anni, l’età della pandemia. Il ‘fermo macchine’ del lockdown vi ha permesso, impedendovi viaggi e spostamenti, di concentrarvi sulla nascita della vostra associazione?

Roberta | abbiamo iniziato a lavorare ad aprile 2020, ma l’atto notarile della fondazione è di luglio 2020. Il primo festival che avevamo progettato era troppo megalomane, siamo ritornati sui nostri passi e abbiamo creato un progetto su scala minore. Con strategie, imprenditoriali e artistiche, chiare che ti aiutino a farti identificare anche dal tuo pubblico.

David | Posso fare tante cose da creativo, ma fare una zine è diverso, è il modo di cementare qualsiasi arte (dal graffiti al murales), oltre ad essere un prodotto. 



Non è solo un medium, la fotografia è questione di immanenza, di scrittura definitiva.

Roberta | Fa parte proprio della radice stessa della performance. A proposito dell’avanguardia degli anni 70, i critici scrivevano che se non fosse esistita la rappresentazione fotografica (e videografica dopo) non ci sarebbe stata nessuna storia della performance. La rappresentazione di qualcosa che è esistito.



Mi ha colpito un’altra cosa: siete i primi dopo tanto tempo ed i secondi in assoluto (prima di voi il Tienament’, ma siete giovani per averlo frequentato) a portare cultura e fare un festival in un grande e popoloso quartiere dormitorio. Avete una grande responsabilità e a questo effetto ci avete pensato? Paradossalmente, la periferia occidentale trova in Soccavo l’unico quartiere veramente progettato, con una buona ratio verde-costruito ma senza trasporti efficienti e nessuna possibilità di raggiungerlo di sera dopo le 21 senza auto.

Roberta | l’ho sentita questa responsabilità ed hai ragione, la cultura si è tutta agglutinata in centro storico. 

David | io ho avuto già esperienza a Soccavo, era nel 2013/4 per un mio progetto fotografico in strada: in quell’occasione ho conosciuto un gruppo di ragazzi di via Epomeo che avevano una band musicale: mi hanno accompagnato ad attaccare foto, dopo ci siamo bevuti due birre. Nessuno di loro vive più qui. C’era un’associazione ed anche una chiesa che restituivano qualcosa in quartiere. Ora non ci sono più o non sembra siano molto attivi.

Noi abbiamo fatto giocoforza amicizia con dei ragazzi di quartiere, molto giovani. Venivano spesso a fumare sulle scale del nostro ingresso e non salutavano o non interagivano, piano piano abbiamo stabilito un contatto e ora saranno i nostri volontari durante i tre giorni di festival, li abbiamo già coinvolti in altri incontri o conferenze. 

Non farei nulla nel centro antico di Napoli che risale al periodo greco-romano ma che ormai sta perdendo la sua anima e si sta standardizzando come quartieri posh tipo Mitte (Berlino), dove trovi gli stessi negozi che trovi altrove. 

Soccavo è più contemporaneo non solo perché è degli anni 50. Per natura è più possibile fare progetti diversi e siccome non c’è nulla è ancora più importante operare qui.

Roberta | I nostri primi volontari sono studenti di liceo e ci portano i loro amici per darsi i cambi turno: sono molto carini, vanno stimolati, gestiti ed organizzati. Sono i nostri promoter anche, ci aiutano a disseminare la notizia del festival accanto ad i canali più classici (ufficio stampa, locandine, campagna social).

Ritornando al festival, non ci siamo messi in testa numeri od altro: comunque va sarà una prima esperienza ed è importante farla, impareremo da essa per migliorarci durante la seconda edizione l’anno prossimo. 

Poco dopo la fine del secondo lockdown, quando abbiamo invitato per la prima volta il pubblico a Soccavo (con un’allerta meteo ed una giornata piovosissima), ci siamo stupiti di aver riempito i posti a disposizione nonostante le persone fossero ancora timorose di interazione sociale.

Neanche io farei progetti al centro storico, è anche troppo inflazionato. Dal punto di vista di fruitore sai come chiamo le mie serate lì? Serate fotocopia: stessi posti, stessi amici (che amo, per carità: sono la mia seconda famiglia) stesse dinamiche giorno dopo giorno.

Lo sforzo, se vuoi chiamarlo sforzo, di spostarsi da un quartiere centrale (come possono esserlo Chiaia od il centro storico) ad una periferia per fruire di un evento culturale è stato apprezzato da tutti i nostri visitatori che non vivono qui.



Come immaginate il piano di redditività della vostra sezione editrice? A parte offrire la vostra birra home-brew e fare tesseramento al festival, la vendita online delle vostre fanzine è migliore di quella offline?

David | non vendiamo ma riceviamo donazioni e al momento finanziamo la nostra associazione con il nostro lavoro ed i nostri risparmi. 

Roberta | siamo un’associazione di promozione sociale, ad oggi non abbiamo vinto bandi o abbiamo finanziatori: ci auto-produciamo e autofinanziamo, il costo della nostra tessera associativa copre a malapena i costi della sua stampa e del versamento all’associazione nazionale a cui siamo per legge iscritti. 

Tutto quello che rientrerà rispetto al nostro piano finanziario nei prossimi due anni servirà a tenerci aperti. Per noi è un po’ presto fare un prospetto più lungo al di là del merchandising delle spillette, delle zine, della didattica fotografica (che inizia a settembre). Al momento chiunque ci aiuti (come il fantastico Michele Mizio che è il grafico dell’evento) è un volontario come noi. 

Il nostro obiettivo primario è pagare tutti quelli che lavorano per noi, in futuro speriamo di poter pagare anche noi. E’ un modo per farci crescere: se posso lavorare full time per la mia associazione potrò fare molto e meglio.

David | ci toccherà cambiare il timbro poi, da The Docks APS ad s.p.a.! (ride). 

Questo festival per noi – ed è raro che a Napoli si facciano per lo stesso motivo – è nato per fare rete, per conoscersi meglio mentre leggiamo un libro, una fanzine, beviamo una birra o dell’acqua, ascoltiamo musica o incontriamo una persona che lavora come designer. 

In questa città tutto inizia molto velocemente e bene ma poi scompare: noi vogliamo creare una piattaforma che per tre giorni crei dialogo, ci faccia stare insieme. Per questo ci sono tanti talk, non della nostra associazione ma di altre. 

Roberta | Ciascun talk non sarà mirato a parlare della casa editrice o dell’associazione che lo tiene o solo dell’ultimo loro libro: abbiamo chiesto agli invitati di concentrarsi, dal loro punto di vista, su cosa significhi fare editoria oggi. 

Ognuno di loro quindi ha scelto un tema preciso che va a valorizzare lo scambio tra operatori ed appassionati o serve a dare consigli a chi vuole muovere i primi passi. Tanti i temi declinati su cosa vuol dire fare l’editore fotografico oggi: autoproduzione, creatività del layout, sistemi di vendita e promozione. 



I vostri luoghi d’elezione – segreti o meno – dove vi piace ritirarvi a leggere o creare?

Roberta | Passo tanto tempo a casa mia per questo, mi dona serenità. Poi al mare in generale. Infine, il mio luogo d’elezione per l’eremitaggio è Procida, non proprio in città…

David | Astroni, Camaldoli, Bacoli, vi passo molto tempo sia per lavoro sia perché mi piacciono.



Un libro (non vostro) ed una canzone che avete in testa in questo momento?

Roberta | L’autore israeliano Nevo, con la sua Simmetria dei Desideri, è una storia d’amicizia molto forte e tocca molti aspetti della vita sociale e politica del suo paese. Devi sapere che leggo solo Roth e Auster, ho deciso di finire tutta la loro bibliografia ma ogni tanto interrompo con qualche deriva. 

Leggo in verità solo d’estate perché ho più tempo ma il romanzo di Nevo sono riuscita a finirlo grazie a un viaggio (infinito) su una circumvesuviana ed un altra. Musica: sono appassionata degli storici cantautori italiani (Dalla, De Gregori, De Andrè), anche di Madame, Mahmoud…

David | sono tornato massicciamente all’Indie Spagnolo degli anni 2000 e penso spesso al Primavera Sound forse sono in una delle mie fasi in cui vorrei tornare a Barcellona. Ultimamente leggo molto di tecnica e software, poco per ricreazione. Mi sto immergendo molto nell’editoria infantile.



Cosa avete imparato sin qui dalla vita

David | a usare le mani sincronizzate con il cervello (ride). Oggi manca a tutti i ragazzi, non sanno coordinarsi. Ci vuole pratica.

Roberta | un grande insegnamento che mi porto dietro dai consigli di mio padre e uso al lavoro: prometti uno, dai 100. Quando lavoro, mi lascio prendere sempre dagli entusiasmi, mio padre mi diceva sempre: dai tutto quello che puoi ma quando ti vendi non promettere troppo subito, lasciati scoprire poco alla volta e non giocarti subito ogni carta.

Un altro: ascoltare tantissimo gli altri per potersi migliorare e filtrare tutto quello che ti viene detto. Ci è capitato soprattutto 

David | Spesso le persone a cui chiedi un consiglio non hanno capito che devono dartelo mettendosi nei tuoi panni, quindi sei costretto a scartarne tanti. Alla fine rimarrai solo con il tuo cane (ride). Quello che voglio dire è che è molto importante la forma e la compenetrazione del consiglio.

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