Trallallà, street artist

Un nome buffo e orizzontale (Trallallà), occhi chiari – vigili e remoti – che la sanno lunga, sempre in giro in bicicletta anche quando non era di moda. 

Lo ‘street artist’ napoletano ha appena pubblicato con un’editrice cittadina (Magmata) un libro d’artista che raccoglie la sua più prolifica (ed apprezzata) produzione di clean graffiti dedicata alle donne extralarge, alle ciacione (in dialetto, le donne abbondanti e consciamente sensuali): le sirene.

Nonostante il lockdown, il libro è stato presentato in giro per la città, come si faceva un tempo con le fanzine. #savethemermaids ha proprio la forma di una rivista: il colore della copertina è rosso pompeiano e lo abbiamo recensito per voi .

A ‘braccia’ e col passaparola è arrivato ai suoi lettori, negli sparuti crocicchi di resistenti che camminano per salvarsi e per continuare a meravigliarsi, alzando gli occhi al cielo e su quello straordinario museo di graffiti che è il centro storico di Napoli, primo grande esperimento di pedonalizzazione su vasta scala (ed ad oggi il centro cittadino e patrimonio UNESCO pedonale più grande d’Europa). 

Una fanzine non è solo formato ma è anche diffusione ‘vecchia maniera’: passa di mano in mano, è letta dove è comprata – in una pausa dal volume si incontrano gli occhi di un altro lettore.

Ad ogni presentazione in queste settimane, una nuova sirena esce dalle pagine in tempo reale e viene dolcemente adagiata su un muro denso di storia e di memorie, spesso per rivitalizzare esercizi commerciali e librerie al collasso. Gioca con, quasi accarezza, i lavori su carta di altri artisti locali.

Orfani dei turisti, i vicoli greco-romani di Napoli possono essere finalmente goduti dai loro abitanti. 

Declamano con tutto il loro splendore i messaggi degli street-artists, a cui Trallallà dice di non appartenere, o almeno non in senso canonico….E risvegliano un’idea di cittadinanza quasi rivoluzionaria: contrastare lo scempio dei diritti su più vasta scala di tutti i tempi.


La tua vita in poche righe, proprio da dove inizia 

Nasco a Napoli nel 1968, a ottobre: nel pieno autunno caldo. Forse è da quell’imprinting che nasce una naturale simpatia per i contestatori in genere, per quelli che cercano di portare la Fantasia al Potere in particolare.

Ho trascorso tutta la mia vita a Napoli, ed è stato come stare tra le braccia di una dondena bellissima che mi tradisce continuamente, ma che continuo ad amare, perdutamente. Ho passato la maggior parte del mio tempo per strada, per indole e per lavoro (mi occupo di ricercare locations per produzioni cine/televisive, oltre a realizzare opere d’arte per strada).

Liceo scientifico a Portici a pochi passi dallo straordinario porto del Granatello ed università ad Architettura: lasciai a quattro esami dalla laurea perché avevo cominciato a guadagnare bene lavorando nel cinema e nella televisione.

Ho amato molto i miei studi: mi sono serviti per acquisire una forma mentis nell’organizzazione di elementi più che nella progettazione. E per conoscere gente meravigliosa. 

Frequentavo molto la facoltà, gli studenti di quegli anni sono ancora i miei migliori amici. Quando ero verso la fine mi chiedevo: e dopo che farò?

Non mi pento di non essermi laureato e di non essere diventato un architetto.

Mentre preparavo la tesi in scenografia ho cominciato a bazzicare il circuito cine televisivo, nel quale lavoro ormai da trenta anni.


La strada come momento creativo ed espressivo accomuna tutta la tua vita (sia professionale sia artistica): è un mezzo, un media e (come direbbe un famoso sociologo), un messaggio. 

Il mio lavoro di artista si realizza per strada. Non amo musei e gallerie d’arte. Sembrano obitori. Sussurri e passi in punta di piedi. Anche l’ illuminazione è da sala mortuaria.  Mi è venuta un’idea, per una mostra in un museo: tanti mazzi di fiori in decomposizione, per terra, e in vasi funerari pieni d’acqua stantia, a ricreare l’odore cimiteriale. 

L’ arte in strada perde la sacralità, non è più un feticcio intoccabile. 

Il museo conserva, la strada consuma.

Ciò che mi piace è l’ aspetto effimero delle cose che faccio: alcuni lavori durano poche ore, o qualche giorno. Sole, vento, pioggia, vita.

Ciò che resta è qualche foto, alle volte neanche quello.

Un lavoro in strada lo fai per dare soddisfazione al tuo ego, ma anche per chi ci vive: gli doni un sorriso, una risata o una riflessione (la sua arte è molto ironica).

Lavoro in modo molto spontaneo, non progetto se non di massima: uso, ad esempio, la bomboletta che ho al momento. 

Il posto che scelgo, invece, è importante. Ha un senso: per l’architettura, l’ambiente in sé, per dove si trova. Il passaggio delle persone è relativo, mi piace esprimermi anche dove non passa mai nessuno.

Lavoro solo nel centro antico di Napoli, per le Sirene talvolta al mare, sugli scogli: le riporto a casa.

I muri del centro, i ‘supporti’, sono di per sé un’opera d’arte: stratificazioni secolari che rivelano tutte le stagioni del tempo che hanno attraversato: chiodi ottocenteschi, graffi di ogni tipo anche di proiettili, brandelli di vecchi manifesti.

Napoli e Palermo secondo me sono le più ricche in Italia dal punto di vista della street-art, forse perché con i loro centri antichi ed i loro ‘strati su strati’ hai un posto egregio dove aggiungere la tua storia.

Napoli è una città incomprensibile, piena di contraddizioni: sono stato fermato qualche volta e sono sempre stati molto tolleranti.

Gli incontri virtuali da un po’ sono più di quelli che faccio in strada. Vendo su Instagram, acquistano soprattutto ragazze. Di solito incorniciano i miei lavori (e io consiglio sempre il mio corniciaio, Lino Mavaro, economico e bravissimo, che sa come trattarli: doppio passe-partout in vetro e cornici adatte). Molti li attaccano direttamente sui muri di casa.


Deve essere incredibile l’esperienza che stai vivendo in questi lunghi mesi di coprifuoco come artista in strada che continua a frequentarla…

In questo momento in cui, assurdamente, si è deciso di affrontare un’epidemia chiedendo ad un intero popolo di auto-recludersi agli arresti domiciliari,

la strada si è, ovviamente, impoverita, impoverita. Mancano i suoi abitanti più belli, gli studenti, gli scolari che tutte le mattine sciamano per le strade, i bambini di tutte le razze che riempiono le piazze, mischiandosi. Oggi, da più di un anno, la città ha chiuso le scuole, impedendo al futuro di costruirsi. Tecnicamente, un suicidio.

Dove c’erano i ragazzini a tirare calci ad un pallone, ci sono militari in assetto antisommossa, annoiati. Una sconfitta, per tutti.


Nel momento in cui musei, teatri e cinema, le scuole sono chiusi, la strada rappresenta l’unico bacino di cultura ‘offline’ ed il luogo dove puoi creare uno scambio di opinioni, di libri, di storie con un altro essere. E poi le strade vuote ti permettono uno scambio visivo e umano ancora più forte.

Giusto. Aldilà di questi momenti, penso che le strade dovrebbero essere svuotate dalle auto, non dalle persone, in modo da vedere veramente le cose e parlare con gli altri. Le auto sono il vero pugno nell’occhio!

I flussi turistici poi, soprattutto in posti come i quartieri dove ci troviamo ora, consumano la città e l’idea stessa di cittadinanza. 

Capisco che il turismo crei lavoro e va bene così. Vedere comunque Napoli vuota anche di turisti, con le saracinesche abbassate, è desolante. 


Che effetto ti ha fatto pubblicare un libro in pandemia? Come vi è venuta l’idea di presentarlo così? 

L’abbiamo fatto in modo strano – quasi come un’azione – e posso capire che in questo momento possa sembrare anche un atto ribelle, nascosto. Con tutti i negozi e i bar chiusi del resto non avevamo molte alternative.

E’ quasi un atto fugace: si incontra un piccolo numero di persone, si distribuisce e nel mentre si fa un attacchinaggio di nuovi poster di Sirene. 


Scegliete non solo il muro ma anche il contesto, direi: la prima volta all’esterno di un piccolissimo bar molto frequentato pre-Covid e la seconda fuori ad una ottima libreria di Via Santa Chiara specializzata in autori contemporanei dal mondo arabo e non solo

Assolutamente. Sono i contesti che in qualche modo continuano a cercare di vivere una normalità tra molte virgolette. Qualcuno ci ha suggerito all’inizio di fare una presentazione in streaming ma abbiamo rifiutato perché per questo libro non ha senso.

E poi anche per non piegarsi a questa logica: se inizio oggi lo faccio domani e poi dopodomani e poi per un altro libro. 

Invece no: continuiamo a fare le cose come si facevano una volta.

Questo vale per ogni azione umana. Oggi a casa puoi avere tutto quello che ti serve senza uscire, via web: dalla spesa, dalla lezione alla laurea, dal lavoro allo sport… A parte l’aberrazione di una vita senza interazione sociale fisica, mi spaventa che la nostra vita passi attraverso piattaforme che non possediamo e che ti gestiscono, oltre a sapere tutto di te.

Il libro in realtà è nato da un testo di Luca Forgione (un mio caro amico, professore di filosofia, che è uno degli autori dei due saggi in prefazione). 

Inizialmente scritto con un altro linguaggio e per un altro contesto, gli ho chiesto di riscriverlo con un linguaggio diverso (alla fine ha il sapore di saggio ‘letterario’ dalla cifra intimista, quasi un corpo a corpo con la città). Luca è stato felice di farlo perché gli ha dato l’opportunità di confrontarsi con un nuovo tipo di scrittura. Ed il risultato è straordinario.

L’ho fatto leggere ad Alfonso (Gargano, l’editore di Magmata e l’animatore di Perditempo, libreria-bistrot e negozio di dischi, ora chiuso da un anno), con lui è nata l’idea di un libro con le mie immagini, il testo di Luca e quello di Gennaro Ascione (autore di un altro libro per i tipi di Magmata, Vedi Napoli e poi Muori).

Abbiamo in mente altri due volumi, non sappiamo ancora se useremo lo stesso formato da rivista ‘large’, che io preferisco in ogni caso.


ORMAI, in stampatello e preferibilmente con caratteri simili al Courier: parlaci anche di questo tuo altro progetto

Ho scritto, e scrivo, spesso la parola ORMAI sui muri della città. Ce l’ ho scritta anche sulla pelle, e non sono il solo. 

ORMAI è, in questo momento, è il mio modo di testimoniare la consapevolezza del fatto che l’umanità si sta scavando la fossa, con il suo folle sistema di produzione, distribuzione e consumo. 

Distruzione inquinamento e spreco dissennato. 

Ho sempre guardato con paura la sterminata massa di rifiuti che le società umane producono. 

Non so se ricordi i lavori con i sacchi della monnezza (spazzatura, in dialetto) che realizzavamo anni fa. 


Certo, mi ricordo anche le scorazzate in bici di notte a metterli sui muri in piena crisi della raccolta dei rifiuti attraversando cumuli incendiati in ogni dove

Sono riflessioni che in Campania si sono imposte con una certa urgenza qualche anno fa. 

Fa sorridere, con amarezza, il fatto che oggi si ergano a difensori della salute pubblica, privandoci della libertà, gli stessi soggetti che negavano ci fosse un problema rifiuti. 

Ora che la magistratura riconosce il nesso causale tra smaltimento illegale dei rifiuti e aumento dei casi di tumore, mi viene  da pensare che della salute pubblica non gliene frega un cazzo a nessuno. 

ORMAI è perché penso che il processo di distruzione sia irreversibile, e sento il bisogno di dirlo. Mi sento come uno dei passeggeri del Titanic.

Se non fossi nato a Napoli ti avrebbe attratto lo stesso il mito delle Sirene? Secondo me è il colpo di coda della tua città.

Forse sì. 

Qui sicuramente respiri storia dai muri ai volti, ai modi di dire: se ci fosse più curiosità ed amore per Napoli sarebbe chiaro a tutti quanto sia imbevuta di inesauribile ricchezza. 


E meraviglia, nonostante tutto. 

Sì, meraviglia.

E’ una città strana, il napoletano non crede nel futuro: è ovvio, vive su un vulcano e sa che può morire da un momento all’altro. Questo lo porta a non programmare e a dissipare, ad esagerare, a mangiare tutto quello che c’è perché del domani non v’è certezza. Napoli è un continuo procrastinare…


Il posto migliore e peggiore dove vivere. Contemporaneamente.

Per me è il posto migliore, non dico di essere fatalista anche io ma la vita è assurda tutto sommato e quello che pensiamo di pianificare e progettare lo è solo in minima parte. 

Molto avviene così per caso, per il fato o, come si dice qui, per la ciorta. Per questo il mio modo di lavorare sui muri ha una piccola preparazione di base e lascia molto al caso, anche lo sbaglio e lo strappo diventano parte della combine.


Te come lettore: tempi, modi, luoghi

Sono stato un ragazzino timido e solitario. Mi tenevo compagnia con i libri. Ho letto molto, in piedi, seduto e steso. Ho la fortuna di dimenticare ciò che leggo. Potrei rileggere per tutta la vita un solo libro, scoprendo ogni volta qualcosa di nuovo. In effetti da qualche anno rileggo sempre gli stessi libri.

In questi giorni ho sul comodino La Conquista dell’Inutile il diario tenuto da Werner Herzog durante la lavorazione di Fitzcarraldo (1982, Miglior Regia a Cannes), assolutamente meraviglioso, un’illuminazione ad ogni pagina. 

Sto rileggendo anche Elogio della Fuga di Henry Laborit, in cui si teorizza la fuga come deviazione dalle rotte imposte dalla società, come via di salvezza dal malessere causato all’uomo dalla competizione in una società organizzata per gerarchie.


L’ultima canzone che hai ascoltato o la musica che ti frulla in testa con insistenza in questi giorni?

Io ho ancora lo stereo in macchina e ascolto i cd. 

Ora sto (ri)consumando Gonzales Uber Alles. A casa la canzone che sentiamo spesso in questi giorni è Ma che ho? di Pino Daniele, L’abbiamo sentita alla radio, i bambini la stanno imparando, adoro quel sound funky.


Domanda pleonastica per te quella dove ti vedi tra dieci anni (anche se oggi sembra difficile pensarlo della prossima settimana). La risposta è ovviamente Napoli.

Vicino al mare però. Tra dieci anni forse sarò in pensione. Sono diventato padre tardi, a 40 anni e mi sono organizzato in funzione dei miei tre figli (due gemelli di 12 e un fratellino di 8), volevo dare loro tempo di qualità. Se penso a quello che sta vivendo l’infanzia in questo periodo, quella meno fortunata, penso che qualcuno dovrà pagare per questo.


Hai ragione ma alla fine sai anche che purtroppo nessuno pagherà…

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Non penso che si impari poi molto dalla vita… Forse ho imparato la gratitudine, ho imparato la modestia – sapere di essere l’infima parte di qualcosa di enorme ed incomprensibile.

Abbiamo smarrito il rapporto con la natura, con i suoi cicli, con la morte, con la rinascita. E’ tutto perso. 

Viviamo nel modo più assurdo e quello che mi spaventa di più è l’incoscienza con cui attraversiamo tutto ciò nonostante l’uomo – per alcuni studiosi una specie aliena su questo pianeta – abbia un’intelligenza incommensurabile se rapportata ad altre. 

Anche io, nonostante mi impegni tanto, faccio parte di quel sistema per il quale si vive per il superfluo, si vive sprecando risorse, energie, intelligenza, sensibilità, capacità poetiche.

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