Wagner&de Burca, Brasile

Bárbara Wagner e Benjamin de Burca, per la prima volta a Venezia e per la prima volta a rappresentare il Brasile (lei è brasiliana) alla Biennale d’arte di Venezia (Italia), hanno creato un’installazione su due canali e alcune foto e poster intitolati Swingueira (tratti dal loro ultimo film). L’opera è pensata per essere vista su due schermi che quindi possono rappresentare una diversa visione per ciascun spettatore!

Il film è toccante, racconta di una comunità queer nata attorno al ballo e del Brasile reale (la nazione, funestata da una dittatura militare nel passato, è attualmente guidata dal presidente di estrema destra Bolsonaro che ha salutato con ammirazione proprio il periodo dei Generali), può essere visitata fino al 24 novembre 2019 ai Giardini (ovviamente al Padiglione del Brasile: un’architettura modernista progettata da Oscar Niemeyer).

Barbara è nata a Brasilia (1980) mentre Benjamin a Monaco (1975). Indagano sul potere e il linguaggio delle tradizioni musicali per rappresentare, raccontare e rendere viva un’idea di comunità e nazione.

I film sono i loro media preferiti e uno stile documentaristico assai unico la loro firma. Recife è spesso l’orizzonte del loro mondo e non è un pezzo “neutrale” quando raccontano dell’enorme paese che hanno chiamato loro: incarna molte questioni economiche, politiche e razziali.

La swingueira è una sorta di aggiornamento di una serie di tradizioni come la quadriglia, la scuola di samba e il trio elettrico, praticate in modo autonomo e indipendente dai giovani che si incontrano regolarmente negli spiazzi sportivi alla periferia di Recife”, spiega Barbara Wagner. “È un fenomeno che nasce dall’esigenza di integrazione sociale, si snoda attraverso l’esperienza dell’identità e arriva sul palco e su Instagram come una forma di spettacolo alimentato dal mainstream, ma che sopravvive assolutamente al di fuori di esso”, aggiunge. 

Il film accompagna le prove di tre gruppi di danza. Sono per lo più transgender e rappresentano principalmente la comunità nera di un paese in cui i matrimoni misti sono molto popolari ad ogni latitudine del suo territorio ampio e contrastato.

“Gli artisti presenti nei nostri film sono persone che conosciamo da vicino e con cui collaboriamo per i progetti di sceneggiatura. Nelle riprese, davanti alla telecamera, si rappresentano a se’ stessi, perché è questo tipo di conoscenza trasportata dal e nel corpo che vogliamo analizzare insieme a loro “, dice l’artista. 


La vostra vita in poche righe al di là del vostro curriculum artistico

Barbara: Viviamo entrambi a Recife ma non veniamo da lì, vengo dal Nord Est del Brasile nel distretto di Alagoas (la città si chiama Maceiò) e poi quando avevo 16 anni mi sono trasferita a Recife, che dista 200 km da lì, a nord.

Non sono mai molto concentrata sul dove vengo. C’è una storia colonialista molto particolare nel Nord Est del Brasile.

Penso che il fatto di essere stata educata ed aver lavorato come giornalista, di aver iniziato a lavorare con la fotografia e poi di essere stata sempre interessata alla cultura popolare, mi abbia formata su quello che poi sarebbe stato l’interesse principale della mia pratica artistica per un paio di anni prima di incontrare Benji.

Nel 2011 abbiamo iniziato a collaborare mantenendo sempre i nostri lavori individuali, il nostro primo pezzo collaborativo risale al 2013.

Benjamin: Sì, abbiamo iniziato ad aiutarci a vicenda e poi ci siamo uniti in un modo che tiene ancora in considerazione i nostri interessi simili, ma anche due modi diversi di guardare al mondo.

Il mio background non è simile al suo, sono nato in Germania e cresciuto in Irlanda, sulla costa occidentale. In realtà è sempre stato un destino il mio, essere un artista. Era in una certa misura noioso perché provengo da una famiglia di artisti, quindi quello che mi è successo è esattamente il contrario di altri giovani che sono forse costretti a diventare avvocato quando vogliono solo studiare e fare arte.

Ho vissuto e studiato in Scozia ed Irlanda del Nord, poi mi sono trasferito a Berlino dove ho incontrato Barbara e poi ci siamo trasferiti in Brasile.

Quindi, ho vissuto un po’ dappertutto.


Avete visto Rize di David LaChapelle e se sì, cosa ne pensate di quel film documentario?

Barbara: No ma molte persone me l’hanno mostrato. Ho trovato interessante il modo in cui le persone collegano il nostro lavoro alle convenzioni della fotografia di moda o del video musicale.


Penso invece che la vostra DOP sia davvero sorprendente e molto diversa da quello di LaChapelle in Rize. Quello che ho trovato molto simile è il lavoro con una comunità perché questo fotografo ha fatto esattamente la vostra stessa cosa (essere dentro e non fuori una comunità per guardare cosa significa e non afferrare qua e là dei pezzettini e incollarli insieme in un modo molto che sì si potrebbe definire molto ‘alla moda’).

Anche se la comunità di Rize non è la stessa – nel suo caso si tratta di persone bianche e nere, dell’America remota, deprivate, spesso tossicodipendenti o con uno sfondo familiare turbolento.

Lo chiedo perché certamente Recife non è la parte più ricca del Brasile.

Benjamin: Capisco, vorrei poter commentare ma non conosco il film, ma ha l’ultimo titolo del film che abbiamo fatto. Ora che mi hai detto, lo guarderò!


La Biennale di Venezia quest’anno è ricca di splendidi film firmati da artisti (li intervisteremo tutti e siamo partiti da Larissa Sansour, l’artista palestinese che rappresenta la Danimarca) ma il vostro è un ulteriore passo avanti secondo me. E ho anche sentito un intento molto politico, ma potrei forse sbagliare.

Quando la coreografia guida la ballerina principale (lei era proprio intorno a noi a Venezia, fuori dal padiglione, quando abbiamo avuto questa chiacchierata per l’intervista: stava provando un po ‘di danza con Miss Polonia a favore di telecamere di alcuni media internazionali, sì, questo è il circo di Venezia dei giorni di apertura!) ad interpretare in danza “ordine e progreso” le parole sulla bandiera brasiliana, per me ha significato una sorta di critica alle nuove idee di Bolsonaro in fatto di (in)uguaglianza di genere, (de) emancipazione delle donne e così via. Siete d’accordo?

Barbara: Penso che sia impossibile non vedere il lavoro da un paio di lenti politiche e ovviamente è un lavoro molto politico. Non potrebbe essere altrimenti perché stiamo parlando di persone – la comunità queer e le donne – che ora sono assolutamente prese di mira.

Ciò che è bello di questo progetto di danza è che era già stato sviluppato prima che noi lo incontrassimo, precisamente dal 2017 al 2018.

Ci è davvero piaciuto il fatto che abbiano sviluppato proprio questo atto che stai citando in una delle coreografie che racontiamo che in realtà è durata 15 minuti (noi abbiamo preso solo quattro minuti di quella partizione che è all’inizio di quella swingueira).

Costruiscono coreografie e si allenano tanto per partecipare ad un evento competitivo che avviene solo una volta all’anno (sfortunatamente lo abbiamo perso quest’anno perché siamo qui a Venezia!).

Sviluppano un tema ogni volta e quello del brano specifico che stai citando riguarda l’immortalità, in realtà, e non il nazionalismo. Parlano di una fenice. L’insegnante, Diego, che è anche un ballerino del gruppo e ha un talento naturale per essere il coreografo, ha messo insieme questo pezzo.

In realtà non abbiamo scelto il gruppo che è il soggetto del nostro pezzo di documentario. Siamo stati presentati a loro da Edoarda con cui abbiamo lavorato già nel 2015. È una combinazione di possibilità e intenzioni ma anche di intuizioni.

Questo punto di vista molto politico deriva anche dal fatto che siamo in una piattaforma artistica, la Biennale di Venezia, con le sue rappresentazioni nazionali, ma allo stesso tempo direi che il valore di paragonare questa parte specifica della coreografia all’opera è molto utile per aprire alle più varie interpretazioni di cosa significa appartenere a una cultura. Perché per loro, i ballerini, questa è la vera questione molto urgente: essere visti e sentiti come cittadini.

Stanno rivendicando una cittadinanza proprio nel modo in cui sono. Vogliono sapere cosa lo stato abbia intenzione di provvedere per loro.

Il nazionalismo ha a che fare con in termini di classi e di razza e ora anche di genere. Questo è qualcosa che non è possibile comprendere con uno sguardo rapido e superficiale. Deve essere visto bene per capire come si costruisce un’identità attraverso la danza che incorpora una forma di immaginazione su una nazione che alla fine ha l’onore della bandiera, ma non è qualcosa che saremmo felici di usare come manifesto per dire ‘ah, questa è una provocazione formale al tipo di potere di Bolsonaro in questo momento ‘. Non abbiamo intenzione di fare propaganda presentando persone che non ti aspetti di vedere a Venezia in rappresentanza del Brasile e che invece ci hanno sorpreso molto.


Concordo moltissimo su quest’ultimo punto: state raccogliendo storie del Brasile che non ci aspettiamo di vedere, ma siete riusciti a tradurle per noi con molta poesia. Soprattutto i loro momenti intimi, quando pensano o sono da soli o sembrano innamorarsi attraverso un momento di danza. La vostra narrativa è molto potente e va oltre la documentazione di un progetto di danza e comunità e li traspone come “esseri di questo mondo” per favorire la loro accettazione anche da parte di comunità non queer e anche in questo Brasile dell’oggi decisamente assai autoritario.

Barbara: tutta la narrazione è fatta da loro, non abbiamo aggiunto né inserito o incollato qualcosa!

Benjamin: E la storia si svolge molto diversamente a seconda dello schermo che stai guardando!

Barbara: Sì, ma ora lei sta parlando di un’altra scena molto specifica: l’immaginazione è parte del vero sapore dell’arte. Ciò che è vero e ciò che non lo è è sempre complicato da definire, ma in questo caso stiamo solo mostrando quello che stanno facendo e niente di più.

Quella coreografia esiste ed è un dato di fatto, ma quando la portano davanti alla cinepresa, ovviamente siamo noi che dobbiamo pensare al “come” stando dall’altra parte.

Essendo un gruppo di persone che lavorano sull’arte visiva e il cinema, abbiamo riflettuto su come usare la luce e i movimenti, come usare lo spazio, come creare i costumi che è qualcosa che esiste già (e che abbiamo appena aiutato, a volte).

Ovviamente c’è un “ping pong” tra noi e loro su tutto.


Un autore letterario brasiliano che vorreste suggerire al nostro pubblico di leggere?

Benjamin: Sono onesto, non leggo molto in portoghese ma c’è un autore che mi piacerebbe suggerire …

Barbara: Quando eravamo nel processo di ricerca per Swingueira, il direttore della fotografia ha scoperto questa autrice per noi. Ha creato la finzione da un diario. Lei è Ana Maria Gonçalves e il libro è Um Defeito de Cor.

Benjamin: è stato il primo libro che ho letto in portoghese.


Un’ultima domanda, non come artisti, dove andrete dopo? Sempre in Brasile, cambierai domicilio? Non sono domande politiche …

Barbara: certo che lo sono! Voglio poter continuare a lavorare in Brasile, vedo me stessa tanto quanto vedo i ballerini del film. Cerco di trovare la possibilità di lavorare come artista, voglio poter essere un’artista nel mio paese.

Benjamin: Mi piacerebbe vedermi su questo pianeta ancora in grado di stare con tutti gli altri e dato che stiamo parlando da una città che affonda dobbiamo rivolgerci a chiunque!


I film di Barbara e Benjamin sono su Vimeo; l’immagine di copertina di questa intervista ritrae Bàrbara Wagner e Benj de Burca in una foresta di mangrovie a Recife e la gallery alcuni still da Swingueira e un’immagine dal Padiglione (courtesy Tosatto)

#BiennaleArte2019

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