La tua storia in 10 righe
Sono nato a Varsavia (Polonia), mi sono formato in campo storico-artistico attraverso la permanenza in diverse città europee (Vienna, Milano, Roma, Londra). Ho collaborato con L’Orientale di Napoli e l’Università di Slesia di Katowice come traduttore ed interprete, in particolar modo di saggi, testi letterari e poetici. Ho scritto di musica ed arti visive su Rumore, NextExit, SuccoAcido. Miei racconti sono stati illustrati da L. Dalisi, M. Galateo, P. Mezzacapo, con i quali fondo nel 2002 container, gruppo artistico e laboratorio di grafica e design. Dal 2002 al 2006 ho ideato e realizzato una ventina di mostre ed eventi adoperando il nome container.
Dal 2005 insieme all’artista Fabrizio Ajello e alle curatrici Barbara D’Ambrosio e Costanza Meli lavoro al progetto di arte pubblica Progetto Isole, basato a Palermo.
Dal 2007 lavoro al progetto di arte pubblica N.EST, curato da Danilo Capasso e incentrato sull’enorme e assai diversificata parte orientale di Napoli. La quasi totalità del mio lavoro realizzato a Napoli rientra in questa cornice.
Nel 2008 fondo insieme all’artista Fabrizio Ajello il progetto di arte pubblica di taglio relazionale Spazi Docili, incentrato sulla città di Firenze e, da allora, principale mio impegno in Italia.
Dal 2013 lavoro insieme al Dipartimento di Mediazione nell’Arte dell’Accademia di Belle Arti Eugeniusz Geppert di Breslavia al progetto di arte pubblica Wrocław – wejście od podwórza (Breslavia – entrando dai cortili), creato da Tomasz Opania per Wrocław 2016, quando la città sarà Capitale Europea della Cultura.
Che mezzi usi? Introduci il tuo linguaggio fino ad oggi
Nelle arti contemporanee privilegio installazione, video e performance prestando di solito grande attenzione all’elemento sonoro (sound art, installazioni sonore). Il mio strumento preferito per indagare il “deserto del reale” è la fotografia, digitale ed analogica, attraverso la quale acquisire materiali grezzi da rielaborare attraverso la forma del video o dell’installazione fotografica.
L’idea di ‘luogo’ è il mio medium. L’identità legata ai luoghi, la maniera in cui essa viene percepita da coloro che vi vivono e da coloro che vi giungono da fuori. I rapporti reciproci che si instaurano tra identità/memoria ed uno spazio fisico. Le conseguenze che i processi socio-economici hanno nella percezione culturale dello spazio.
Difficoltà di lavorare/fare arte?
Nessuna: basta lavorare 36 ore al giorno e non aspettarsi nulla dalle istituzioni italiane.
Cosa fa la società per te?
La ‘società’ (sempre che ce ne sia solo una) è come una sorta di placca tettonica, che ci sostiene ma che si muove per conto proprio, a prescindere dai nostri desideri, talvolta persino per aprirsi sotto i nostri piedi ed inghiottirci (vedi rivoluzione in Ucraina con tutti i suoi vari processi in atto).
La ‘società italiana’ (in questo caso mi sembra ancor più improbabile che ce ne sia solo una), a dire il vero, va in una direzione che mi lascia piuttosto perplesso. Eppure, in quanto artista ed intellettuale, non posso far finta di non rendermi conto di quanto essa, volente o nolente, mi trasporti (cioè mi fornisca/tolga possibilità di vario genere).
Così ho abbastanza spesso come l’impressione che per la ‘società italiana’ o, meglio, per i blocchi sociali che ne determinano la traiettoria, io non sia ancora vecchio a sufficienza per essere considerato adeguatamente affidabile (e disperato). Il fatto poi di coltivare un pensiero critico o di lavorare in campo culturale non aiuta. E la mia ostinata tendenza a lavorare in giro per il mondo paleserebbe per molti una scarsa attitudine a lubrificare il fondoschiena dei potentati locali che così ben reggono questo paese e i suoi mille fortini.
Cosa fai tu per la tua società?
Per come la vedo io essere un artista e/o un intellettuale più che rappresentare una occasione di privilegi o di gratificazioni comporta prima di tutto degli obblighi nei confronti della società. Troppe persone pensano di poter infliggere al resto del mondo i propri deliri o le proprie necessità senza che essi siano rilevanti per alcuno se non per loro stessi. Il concetto stesso di ‘valore’ (sia economico che non) nelle arti è/dovrebbe essere legato alle comunità che lo sanciscono. In molte arti (vedi il cinema) le scelte del pubblico sono anche troppo determinanti. Nell’arte contemporanea, invece, assai spesso non ci si pone neanche il problema.
Io risolvo tale questione lavorando a progetti di arte pubblica a lungo termine e di taglio relazionale, attraverso cui costruire in un periodo di tempo lungo-lunghissimo il mio rapporto con persone e luoghi.
Sono la scelta di una tempistica assolutamente al di fuori degli standard del sistema dell’arte e una reale disponibilità all’ascolto e al confronto a configurare almeno la possibilità di realizzare interventi sensati, utili, necessari. Le logiche mercantili che concepiscono l’intervento artistico sul territorio come una merce da realizzare secondo tempistiche predeterminate (residenza – rapida visita del luogo e documentazione – relazione superficiale con la popolazione locale – produzione – inaugurazione con annessi eventi sociali – partenza) non portano quasi mai a qualcosa di rilevante, né per il territorio, né per la popolazione locale, né per la storia dell’arte.
L’arte trova il suo senso e la sua necessità creando processi e delineando modelli epistemologici specifici del suo agire e inattingibili attraverso altre discipline.
Una cosa bella che ti è capitata di recente?
Uno dei personaggi fiorentini su cui con Spazi Docili abbiamo lavorato di più, analizzandolo nei dettagli fin dal 2008, è divenuto Presidente del Consiglio. Dicevamo da anni che ciò sarebbe avvenuto, raccogliendo reazioni perplesse o ilari. Ora è accaduto. Avere generato un Presidente del Consiglio come ready-made è una discreta soddisfazione. Al momento stiamo lavorando al prossimo Presidente ucraino, poi ci concentreremo su quello americano.
Una passione culinaria?
La ‘nduja, uno dei pochi cibi ad essere anche prova diretta dell’esistenza di Dio.
Le tue bevande preferite?
Vino rosso, birra, vodka, scotch (rigorosamente single malt).
La musica o un libro che ti accompagna?
Musica: classica e lirica da piccolo, mi sono formato con il punk (più inglese che americano) del ‘77, poi sono passato al post-rock e da lì all’indie UK/US. Poi elettronica, techno, avanguardia e contemporanea. Jazz poco, sempre d’avanguardia. Sono molto attratto dalla musica etnica (non dalla world music).
Se devo consigliare un solo libro: I racconti di Kolyma di Varlam Šalamov, forse il libro più importante per l’Occidente insieme alla Bibbia.
Un talento che hai, uno che ti manca
Il talento è una di quelle cose che ti possono essere riconosciute (o meno) solo dagli altri, dunque non penso tocchi a me esprimermi in proposito.