Daniele, direttore creativo

La tua storia in dieci righe (o più) righe

Sono nato a Milano nel 1959 in un quartiere operaio che gli abitanti chiamavano con un nome ora perduto nella memoria della città: la baia del Re. Quel nome così evocativo, quel luogo denso di botteghe, case di ringhiera e cortili, tra la circonvallazione e il naviglio, fu il mio primo laboratorio fantastico. Trasformavo le case e le strade in scenari di cowboy e indiani, comandanti di vascelli fantasmi e pirati.

La mia vocazione per le materie umanistiche si scontrò con il pragmatismo di una famiglia di artigiani. Così accettai l’iscrizione a un istituto tecnico, ma per salvare la mia vocazione al sogno, dopo due anni, scelsi la specializzazione in costruttore aeronautico. La mia vita cambiò quando a 17 anni un amico che non sapeva che farsene mi prestò la macchina fotografica che suo padre gli aveva regalato, una Rolleiflex. Puntai la macchina a caso su una parte della strada e guardando dentro al pozzetto verticale della macchina fotografica, sul vetro smerigliato non mi apparve solo l’inquadratura che avevo scelto, ma un’immagine del mio futuro. Volevo raccontare delle storie, volevo comunicare i mondi paralleli che vivevo. Non mi sono più fermato. Fotografia, scenografia, spettacolo, design sono diventati il mio mondo, fino alla nascita del collettivo creativo Simmetrico in cui oggi lavoro.

 

Gioie e dolori di lavorare come direttore creativo.

Una volta un vecchio fotografo mi disse: “Se non vuoi lavorare neanche un giorno, fai ogni giorno un lavoro che ami”. Nel mio lavoro, le difficoltà, i “dolori” si dimenticano alla fine di un progetto, dimentico le difficoltà velocemente. Più volte mi hanno chiesto: quale è stato il lavoro più difficile, quale il più faticoso? Non so rispondere. Ogni progetto all’inizio somiglia a un parto, ma poi quando accade, quando il progetto si concretizza, ti ricordi solo la condivisione del gruppo di lavoro, l’episodio che ha sbloccato il progetto, la gioia della realizzazione, il senso di appartenenza che il gruppo produce lavorando insieme.

 

L’importanza della centralità dell’uomo nei tuoi progetti

E’ l’uomo che genera significati: ogni luogo, ogni cosa, animata e non, è benedetta o maledetta dallo sguardo degli uomini. Personalmente lavoro con uomini e donne (eccezionali), nelle mie storie mi occupo di uomini anche quando racconto un prodotto e nel mio orizzonte di senso, nel mio passato, nel mio presente e nel mio futuro esistono solo storie di uomini e donne. La mia memoria è memoria di uomo, così la mia fatica, così la mia terra è solo terra di uomini. Se guardo un albero, non guardo l’albero per ciò che; quello che vedo è un significato, un racconto, una storia raccontata da un uomo.

 

Un incontro speciale/inaspettato/commovente

C’è stato un incontro che non dimenticherò mai. Preannuncio che non è un racconto politically correct. Tempo fa ho assistito a un episodio in un ospedale che mi ha profondamente commosso: un’infermiera assisteva un anziano malato. Nel momento in cui l’infermiera lo aiutava a sollevarsi dal letto, l’anziano ha volutamente poggiato il viso sul suo seno prosperoso. Lei, invece di ritrarsi e reagire creando una distanza, è stata lì, lo ha accolto. Un’accoglienza e un’accettazione rara che mi ha commosso, in un mondo che relega la sessualità in packaging giovanilisti, facilmente consumabili o peggio ancora moralistici. La vitalità degli uomini è diventata carne in scatola. Questo episodio mi ha restituito la forza straordinaria che ha la vita dentro di noi: se solo riuscissimo ad accettarla senza le nostre sovrastrutture morali.

 

Cosa fa la società per te?

La società, con le sue contraddizioni, mi fa continuamente delle domande. Questa pressione costante, queste domande, sono uno stimolo per la mia crescita.

 

Una esperienza capitata di recente 

Camminavo in una zona di Milano che conosco bene. Sono passato davanti a un albero secolare e l’ho ammirato nella sua maestosità e luminosità. Ero passato lì davanti svariate volte nel corso della mia vita, ma quella è stata la prima volta che ho guardato veramente quell’albero. Mi è venuto da pensare che abbiamo sempre tanta bellezza sotto gli occhi, a nostra completa disposizione. E forse troppo spesso siamo così presi dalle nostre urgenze, scadenze, emergenze che non ci guardiamo intorno, perdiamo l’occasione di contemplare tanto splendore. Dovrebbe invece diventare un appuntamento costante per ognuno di noi.

 

Una passione culinaria

Vengo dalla tradizione milanese…la cotoletta.

 

La musica o un libro che ti accompagna(no)

Una colonna sonora che mi ha accompagnato tanto è un sentimental mood di Buchanan.

Un libro: Bhagavadgita.

 

Un talento che hai e uno che ti manca

Penso che avere consapevolezza dei propri talenti e dei propri limiti sia un dovere di ognuno di noi. La vera umiltà, a mio parere, è proprio legata al sapersi posizionare correttamente rispetto alle proprie capacità e incapacità. Il talento che sento di avere da sempre è la capacità di raccontare delle storie. Un talento che ancora non ho è la capacità di accogliere completamente la realtà così come è. Ogni tanto mi capita di andare in recriminazione.

 

Cosa hai imparato dalla vita?

Ho imparato che o siamo in una spirale creativa o discreativa. O ascendente o discendente. Non esiste la tranquillità. Lo status quo è un’invenzione per cercare di stare tranquilli, ma non è reale.

 

 

 

http://www.simmetrico.it/

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