Elena, Milano

La tua storia in 10 righe – o poco più

 

Nasco a Penne – un paese dei profondi Abruzzi. Mi convinco, nomen omen, che la penna è il mio strumento. Durante questa impegnativa presa di coscienza, durata circa tredici diari, mi accorgo che le tecnologie hanno fatto passi da gigante. Inizio a tradire la penna con la tastiera. Sempre più spesso. Diventa un’ossessione. Mentre l’ossessione cresce, faccio in tempo a trasferirmi a Milano e a laurearmi in economia. Mea culpa. Mi pento, dell’economia, non di Milano, città che mi rapisce e di cui inizio a raccontare i piccoli dettagli e le peculiari manie. Al momento, oltre a scrivere disperatamente, sono host di un coworking e mi occupo di comunicazione.

 

 

Che tipo di lettrice sei? Luoghi, modi, tipi e, perché no, se leggi riviste letterarie oltre ad occuparti del tuo blog?

 

Una lettrice alla Flaiano, direi. Leggo tanto, ma ormai ho un rapporto disordinato con la lettura. Un tempo ero una maniaca. Leggevo un libro alla volta, dall’inizio alla fine, senza tregua, senza pause, senza eccezioni. Oggi mi capita di iniziare un libro, poi fermarmi. Leggere altro. Tornare indietro. Mi capita di leggere tre libri contemporaneamente o di non leggere per intere settimane. Mi capita pure di andare a recuperare dalla libreria, di notte, i libri più importanti, solo per dormirci vicino. Insomma, sono una lettrice distratta. Mi piace molto leggere a casa e di giorno. Leggo quasi solo romanzi.

 

 

A proposito, per chi scrivi il tuo blog? E che tipo di lettori hai, invece, se differiscono da quelli che ti eri immaginata…

 

Non ci ho mai pensato. Uno, mentre lo fa, si racconta sempre che scrive per tutti. Ma, alla fine, non è mai così. Sono certa che si scriva sempre per qualcuno che non c’è. Per quello che so dei miei lettori, io penso che a accomunarli sia una grande sensibilità per le piccole cose.

 

 

Che tipi di incontri fai quando lavori? Sei una scrittrice a metà, ti occupi di contenuti e di relazioni quindi non soffrirai la solitudine tipica della professione…

 

Il mio lavoro limita ferocemente il tempo della scrittura. Soprattutto limita il tempo del vuoto, del pensiero, della meditazione. Allo stesso tempo, lavorare mi permette di incontrare persone e linguaggi fondamentali per quello che scrivo. Se smettessi improvvisamente di lavorare, probabilmente cambierei anche un po’ il modo di scrivere. Il punto è che il fuori ci riguarda, sempre e comunque. Ciò nonostante, mi manca la solitudine dello scrittore. Stare soli non è affare semplice, ma quando ci si lascia stare dentro la solitudine arriva un momento che sembra di scivolare in un’altra dimensione, un posto dove la concentrazione e l’ascolto diventano potenti, un posto indubbiamente bellissimo, anche se complesso da abitare.

 

 

Vuoi o hai un agente letterario? Se sì ce lo descrivi? Anzi, ce lo descrivi anche se non ce l’hai (quello che vorresti)?

 

Non ho un agente letterario. Credo sia importante trovarne uno quando il proprio progetto è giunto a un certo grado di maturità. Lo immagino come un personaggio d’altri tempi, saggio, forse baffuto, e soprattutto calmo.

 

 

Cosa dai a Milano?

 

Il mio sguardo. La mia appartenenza. Il mio amore. E poi, soprattutto, le mie ansie, ansie a piene mani. E lei se le prende tutte, le sa prendere come nessuno mai. Amo questa città, la sua indiscutibile potenza e la sua evidente debolezza. È una città tremendamente piena di poesia. Cerco di darle riconoscenza, raccontandone i dettagli.

 

 

Cosa ti da Milano?

 

Un centro. Un posto in cui tornare. Le storie della gente. La notte. Milano si impegna tutto il giorno per consegnare delle notti incredibili. Milano mi dà la certezza che le cose non smetteranno di succedere, che si troverà sempre un modo e che ci sarà sempre qualcosa da raccontare.

 

 

Una cosa bella che ti è capitata di recente…

 

Ho ricevuto una lunga lettera (quasi) d’amore da uno sconosciuto.

 

 

Una passione culinaria?

 

La pizza, ma ho una sorta di perversione anche per i ravioli cinesi. E poi c’è la Sachertorte: l’oblio.

 

 

Che vino/bevanda non puoi fare a meno di avere a portata?

 

La vodka. Sempre e per sempre. Anche se la milanesità (e l’età) hanno aggiunto alla lista la birra buona e gli spritz.

 

 

La musica o un libro (non tuo) che ti accompagna

 

“La vita, istruzioni per l’uso” di Georges Perec, ma i compagni di viaggio negli anni sono stati tanti. Su tutti, mi vengono in mente: “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese, i testi di Harold Pinter e le “Gymnopédies” di Erik Satie.

 

 

Puoi anticiparci qualcosa degli scritti che affollano il tuo desktop ora, o il quaderno se lo usi ancora?

 

Ammetto che uso poco il quaderno. Sul desktop, al momento, ci sono diversi racconti abbozzati, una lettera a dio, qualche articolo e un romanzo a metà. Direi che anticipo quello che mi fa più paura: il romanzo. È una storia molto semplice che avrà a che fare con la solitudine, la Tenebra e le psicosi abbastanza divertenti con cui tutti abbiamo a che fare, almeno per un po’, nella nostra vita.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca

 

Sicuramente mi accompagna una grande capacità di sintesi. Altrettanto sicuramente mi manca la pazienza, che continuo a ritenere il più bello dei talenti.

 

 

Quali sono i tuoi metodi per vivere lentamente?

 

Sono abruzzese. Ho una lentezza atavica. Penso, comunque, che un buon metodo per mantenerla nel tempo sia quello di imparare a respirare, e di non prendere mai appuntamenti prima delle dieci del mattino.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

 

In teoria, ho capito che si deve vivere ben adesi al piano di coscienza a cui si è giunti, che non si può e non si deve barare. Né con gli altri, né con se stessi. Che ci si deve ascoltare, che ci si deve dar retta, che ci si deve dar tempo; che si deve assecondare la propria linea di minor resistenza, direbbe Fruttero, andando avanti, e non disertando mai. Questo in teoria. In pratica, non ho ancora capito nulla.

Lascia un commento