Filippo Parodi, poeta e scrittore

Chi vive al quartiere Isola di Milano ne riconquista le strade al mattino.   Di sera c’è la calca dei bar chiassosi, dei “ristoranti” di burger, delle birrerie, ma verso le nove del mattino regna una discreta pace, così si esce silenziosi dai portoni e ci si dirige con calma verso uno dei tanti bar per un caffè. I criteri di scelta sono molti, la qualità del caffè è solo uno dei tanti, non sempre il più importante, conta la musica che si sente, l’arredo, la qualità delle brioche, la gentilezza degli esercenti, la presenza o meno dei giornali e di una rete wifi efficiente. Così nel tempo si assiste a delle vere e proprie migrazioni: gli habituè del quartiere abbandonano un certo bar per trasferirsi in uno nuovo dove hanno scoperto brioche più buone o più giornali o meno fastidi se si vuole rimanere con il computer a lavorare. Sono migrazioni non programmate, ognuno decide per conto proprio, ma voilà nella nuova scelta rivede le persone che incontrava nella precedente. In queste migrazioni mi sono trovata spesso a procedere nella stessa direzione di Filippo Parodi, che ritrovavo nel nuovo bar intento, come sempre, a scrivere con le cuffie in testa e il computer sul tavolo. Era giocoforza conoscersi e ho scoperto con meraviglia che alle nove del mattino lui iniziava a scrivere dopo essere già stato in palestra. Non rimaneva che intervistarlo sul suo lavoro di poeta e scrittore. 

 

Che rapporto hai con Milano e più precisamente con il quartiere Isola, dove abiti?

Credo che Milano, di questi tempi, offra quel tipo di vuoto esistenziale che in definitiva si rivela un terreno fertilissimo, se lo scrivere è mosso almeno in parte da contraddizioni o privazioni. Il quartiere Isola, dove abito da anni, costituisce per me un’arma a doppio taglio. Da una parte mi ritrovo nella sua dimensione poco metropolitana e nei rapporti umani ricca, variegata, dall’altra questa sorta di bolla accogliente e protettiva mi risulta a volte limitante, ogni tanto addirittura asfissiante, perché si è portati a coltivare la certezza e l’abitudine, non si è spinti a spostarsi altrove e a cercare oltre.

 

La tua storia, fino a qui.

Genovese di nascita, milanese d’adozione, mi laureo in Filosofia Estetica all’inizio degli anni duemila. Già dall’adolescenza sento l’impellenza di esprimermi attraverso la scrittura: dapprima compongo canzoni, quindi mi dedico alla stesura di testi brevi che vedono luce su riviste d’arte e letteratura. Nel 2013 pubblico la raccolta di racconti La testa aspra. Nel 2017 con La panchina senza angeli dalla prosa passo alla poesia e il discorso prosegue, si sviluppa nel 2018 con l’uscita della mia terza fatica Per te soltanto, bambino – Frammenti di emisferi e Tapping-ninne nanne.   

 

In quale ambito, poesia o narrativa, ti senti più a tuo agio?

Mi sento a mio agio ‒ sempre che sia fattibile avvicinarsi a questa condizione ‒ se posso sperimentare, giocare, quando avverto un’ambiguità di confini e mi ritrovo così in bilico tra un genere e un altro. Sicuramente riesco a esprimermi con maggiore attitudine, forse disinvoltura, nella forma breve, in ogni caso nella rappresentazione costante del verosimile che, in base alla mia esperienza, corrisponde spesso a una statica ripetitività, alla pressoché assenza di eventi, o alla mancanza di un finale. Al centro di tutto regna suprema la parola, con il suo inesauribile potenziale evocativo, immaginifico, declamatorio, straniante.

In Per te soltanto, bambino – Frammenti di emisferi e Tapping-ninne nanne, silloge poetica che ho pubblicato per Polimnia Digital Editions, una casa editrice che reputo coraggiosa e innovativa, per non dire rivoluzionaria nelle sue scelte e proposte, racconto, appunto, la carenza di avvenimenti esterni entro la cornice di un vissuto. Tutto accade sostanzialmente all’interno dell’individuo, a livello emotivo, mentale, psicofisico.

 

Che importanza ha la musica nella tua vita? Chi ti ispira? 

Un’importanza assoluta. La mia scrittura è nata e cresciuta in sua funzione, nel periodo in cui mi cimentavo come cantautore. Ancora oggi rincorro incessantemente nei testi una musicalità, condizione che per me rimane fondamentale. Il genere musicale che più di tutti mi ha ispirato ‒ e anche nel profondo segnato l’esistenza ‒ è il krautrock. Amo inoltre il rock progressivo, la psichedelia, il folk.

 

Con quali ritmi ti piace ballare?

Mi piace ballare, in generale. A patto che ci sia sempre dell’improvvisazione e della teatralità. E che non si parli mai di balli strutturati o di coppia! 

 

Ci sono dei momenti di tranquillità, lenti, nella tua giornata? Se sì, come li coltivi?

Difficilmente ho dei momenti di calma. Mi impegno comunque tutti i giorni a riservare uno spazio alla lettura (se possibile non mentre sono su un mezzo pubblico). Durante il weekend, invece, prendo spesso un treno e faccio lunghe passeggiate, anche in solitudine, nei boschi, delle gite in giornata che mi rigenerano. Parto con l’idea di non portarmi dietro nulla che appartenga al quotidiano, ma finisco sempre per riaccendere il cellulare e fotografare qualche insetto: nutro una passione nei loro confronti…  

 

Un tuo posto speciale a Milano?

Il Parco agricolo del Ticinello. Mi piace andare dove ci sono le stalle e rimanere lì a osservare le mucche; sul mio ultimo libro sono le protagoniste della copertina (un’opera di Gino Lucente).

 

A cosa stai lavorando adesso?

Sto scrivendo tantissimo. Sono impegnato su due binari: un romanzo che ho ripreso in mano dopo anni e poi ancora la poesia. Mi ha ricontattato un editore con cui collaboro da tempo e sto lavorando a una nuova raccolta di poesie… 

 

A cura di: Emina Cevro Vukovic

Emina è anche l’autrice di altre due interviste su Slow Words, storie che l’hanno catturata e che ha voluto raccontarci: quella di Alessandro Musto, scrittore torinese; di Alberto Pellegatta, giornalista e poeta che vive tra Milano e Barcellona; di Filippo Parodi, poeta e scrittore che vive a Milano.

 

Abbiamo pubblicato due poesie di Filippo Parodi dalla sua ultima raccolta: Pare quasi di smottare e E’ nella scrittura che cerco di incontrarti

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