Giulia, Venezia

 

La tua storia in poche righe, anche se sei molto giovane essendo nata nel 1990

 

Sono Veneziana, finisco il liceo scientifico Morin a Mestre e mi iscrivo a Filosofia nel 2009.

 

Capisco che questi studi non mi bastavano e inizio a fare la volontaria per una cooperativa che lavora nel carcere femminile della Giudecca e nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore (Rio Terà dei Pensieri) nel 2012. Era una fase transitoria perché mi stavo laureando alla triennale e avevo finito gli esami. Ero sempre stata affascinata da quel mondo anche se è molto paradossale perché è brutto. Tutto è nato perché conoscevo la precedente direttrice della prigione della mia città (Gabriella Straffi). E, in più, al Liceo, avevo fatto un’esperienza di volontariato alla Bottega equa e solidale El Fontego dove un’altra volontaria era la bibliotecaria del carcere maschile quindi sentivo parlare spesso di questo posto quando ero quindicenne.

 

Per Rio Terà ho dato disponibilità totale. Per il primo anno non sono andata dentro al carcere, ho aiutato loro nelle attività esterne.

 

Successivamente mi sono iscritta, sempre in filosofia, alla laurea specialistica e ho fatto uno stage a Preface (Francia), un’entreprise sociale che si occupa di formazione in 24 carceri francesi. Ho avuto la fortuna di partecipare al laboratorio di fotografia all’interno del carcere di massima sicurezza di Arles (la cittadina dei celebri Rencontres). Era un corso professionale che quindi diplomava gli studenti, io seguivo insieme a Marco Ambrosi appunto i laboratori.

Io Marco, insieme ad un altro fotografo (Giorgio Bombieri) che aveva collaborato con Rio Terà dei Pensieri, decidiamo di fare una mostra nel 2015, che grazie a Giorgio trova casa a Palazzetto Tito (Fondazione Bevilacqua la Masa). Una mostra diversa dal solito, che non mostrava il carcere ma quello che lì si può produrre. Nello specifico, una collezione di foto di diversi fotografi che le avevano realizzate insieme ai detenuti, non soltanto in un carcere, in più laboratori (ad Arles, con le donne della Giudecca, a Verona con la fotografa Giovanna Magri, ed altri).

 

Questa esperienza – ed il lavoro come vettore per l’inclusione sociale e per la responsabilizzazione – mi ha fatto capire il ruolo della cultura e della formazione nell’aprire alla creatività che tutti, in misura diversa, abbiamo dentro.

A questo ho dedicato la mia tesi, tra filosofia teoretica e sociologia, che parte da una riflessione sul tempo. E su come la società lo viva in continua accelerazione. In rapporto alla pena, punto centrale della mia riflessione, il detenuto invece non è solo chiuso in uno spazio ma viene ‘fermato’ nell’evoluzione del tempo. In che modo possiamo sincronizzare le persone al ‘tempo’ della società e quindi veramente reintegrarle? Per me la cultura è necessaria per questa sincronizzazione, non soltanto il lavoro (che sincronizza solo a livello sociale ma non personale).

 

Finita la laurea, lavoro per una cooperativa sociale di Padova che si occupa di reinserimento lavorativo.

Il mio sogno è tuttavia un altro: mantenermi con le attività che ho iniziato a fare con Closer, l’associazione culturale che ho fondato insieme agli amici del liceo (sono suoi coetanei, nati tutti tra il ‘90 e ’92: Leonardo Nadali, Nicolò Porcelluzzi, Luca Ruffato, Federico Tanozzi, Leonardo Azzolini).

 

Closer è un’associazione culturale nata a Venezia nel 2016 per promuovere attività culturali dove è più difficile, ovunque lo stato sociale mostri i suoi limiti, con un focus sull’ambito carcerario.
Ci occupiamo di organizzare workshop ed eventi finalizzati a includere ciò che è sempre stato escluso; progetti di natura sociale rivolti alla cittadinanza, l’esclusa meno consapevole.
Ci interessa l’arte per chi l’ha sempre desiderato, tecnologia per chi non ha mai potuto: potere imparare è l’unico – vero – potere.

 

Siamo nati da appena un anno, bisogna avere pazienza.

 

 

Perché la letteratura – e meno l’arte, forse più la musica e la tecnologia sfogliando i tuoi primi progetti – è il primo ‘media’ che avete usato per i progetti di Closer fino ad oggi?

 

In realtà non è stata una scelta, come vedi il nostro claim è portare la cultura dove di solito non arriva.

Per noi la letteratura è stata una delle prime cose: alcuni di noi, al liceo, aveva fatto parte del collettivo Spritz Letterario grazie al quale avevamo imparato come organizzare un evento, fare delle presentazioni, impostare dei reading. Abbiamo avuto anche la fortuna di collaborare come volontari al Festivaletteratura di Mantova.

Sapevamo fare molto bene quello, ci è venuto molto semplice. Federico e Leonardo fanno tuttora questo al festival e ci sentivamo sicuri di fare una cosa del genere.

In più, il libro con cui abbiamo iniziato a fare le nostre attività letterarie in carcere era particolarmente piaciuto lì, alla direttrice soprattutto: parlo del vincitore del Premio Campiello, Giorgio Fontana (Slow Words ha intervistato Giorgio Fontana all’indomani della sua vittoria per il Campiello nel 2014, con Morte di un uomo Felice per i tipi di Sellerio). Fatalità, Giorgio ci ha poi detto che ne stava scrivendo un altro quindi abbiamo presentato anche il nuovo romanzo!

 

Il lavoro principale con le donne recluse è stato sul primo libro, dove ci sono riflessioni fondamentali sulla giustizia, a loro è piaciuto tanto!

 

 

Giorgio è una persona estremamente sociale, quindi sarà stato facile fare un evento in cui si commentava il suo libro con lui dal vivo e si leggevano pagine (a cura di detenute ma anche con il pubblico esterno al carcere)

 

Personalmente pensavo non sarebbe stato facile, perché le sue pagine sono veramente molto toste. A me piacerebbe portare Violetta Bellocchio in carcere, in quanto donna e in quanto donna che ha vissuto difficoltà che potrebbero intersecarsi con quelle di alcune donne ristrette.

Giorgio comunica in maniera diversa, è sensibile ed attento alla realtà che lo circonda e quindi l’incontro è stato apprezzato da tutti. La sensibilità si collega all’enorme bagaglio culturale che si porta dietro.

Con le donne abbiamo lavorato per quasi quattro mesi per prepararle all’evento: oltre ai romanzi, abbiamo dato loro da leggere anche gli articoli di Giorgio, dove l’autore esprime una personalità ancora diversa che, a pelle, non si vede. Ad esempio, un suo articolo sul femminismo è piaciuto tantissimo alle nostre corsiste!

 

 

Quindi le donne recluse alla Giudecca leggono, non hanno gravi problemi di analfabetismo o di rifiuto della lettura?

 

Quando si propone qualcosa in carcere, sai già che l’affluenza dell’attività non è mai sopra la tua aspettativa, anzi! Noi siamo stati fortunati perché eravamo i più giovani ad iniziare un lavoro con loro e siamo riusciti a creare un rapporto d’’amicizia’. Loro hanno sentito meno distacco rispetto agli altri volontari che vanno a fare attività lì. Ci sono tante realtà magnifiche che operano all’interno del carcere.

So bene che alcune donne che hanno fatto il reading con Giorgio non hanno letto l’intero libro ma solo quelle parti che sono molto piaciute. Liliana, la ragazza che aveva presentato l’evento (ognuna aveva un ruolo), ci ha invece sorpresi perché è riuscita a fare anche una buona sintesi e un’analisi profonda.

 

Le domande allo scrittore sono state totalmente strutturate dalle detenute, abbiamo fatto delle prove dell’evento prima ma senza ruoli imposti. Abbiamo cercato di spiegare loro che per creare un evento culturale occorrono tante figure, incluso il ruolo di liason ed assistenza al pubblico (io a Mantova ad esempio mi occupavo di staccare i biglietti, serve anche quello).

 

Quello che è importante per noi è anche chi sta fuori la prigione: il reading con Giorgio – il primo evento letterario all’interno di un carcere aperto al pubblico dove lo scrittore viene in contatto più a lungo con le detenute e si opera un vero e proprio laboratorio – ha messo insieme recluse e non.

 

Esistono tanti scrittori che entrano, ad esempio anche Fabio Volo, che di solito hanno un contatto con un’associazione e vengono a fare un incontro. Noi abbiamo lavorato diversamente.

 

Il rapporto dentro-fuori esiste anche in altre carceri, ad esempio a Milano dove fanno attività teatrali od un ristorante ma non laboratori letterari (Slow Words ha recentemente intervistato Silvia Polleri, l’ideatrice del primo ristorante italiano dentro un carcere, In Galera a Bollate).

 

 

I libri con te in questo momento? E la musica?

 

Ti confesso, non leggo quanto vorrei, anzi ultimamente ho pochissimo tempo per la lettura e me ne vergogno! Sono molto amante di McEwan, ad esempio.

 

Sul mio comodino c’è un libro di poesie di Elisa Biagini, Da una crepa poi c’è Carver con Vuol star zitta, per favore? che ho comprato la scorsa settimana e che devo ancora iniziare – ho la fortuna di avere degli amici che leggono di più e che mi ‘raccontano’ quindi prendo ispirazione su cosa leggere.

Ho un libro finito da poco di Annie Ernaux, Gli anni e poi il solito libro di Alice Munro, In fuga, perché qualche sera leggo un racconto.

Seguo molto il sito ‘Abbiamo le prove’ fondato da Violetta Bellocchio ogni volta che posso leggo qualcosa. Anche quella è letteratura.

 

Adoro gli Smiths. Mi sto preparando al prossimo concerto dei Radiohead, anche se sono sempre in macchina dove ho l’autoradio rotta!

 

 

Cibo e bevande preferiti?

 

L’acqua e menta l’adoro. Quando ero a Marsiglia in stage, ho bevuto tantissimo il tè marocchino con la menta.

Adoro le pizzette di pasta sfoglia, oppure le polpette in umido.

 

 

Un talento che hai uno che ti manca

 

Credo di essere capace di esprimere entusiasmo in quello che stiamo facendo. Credo tantissimo in Closer e ho avuto la dimostrazione che se c’è quello riesci a ‘vendere’ tutto quello che fai. Non fraintendere, vorrei dire proprio che se non c’è verità ed entusiasmo è impossibile iniziare una nuova impresa!

Forse sono brava a comunicare, ma semplicemente perché sono stra-convinta di quello che stiamo facendo.

Come difetto, so che mi agito molto e ogni tanto ho dei cali di sicurezza.

Ma sento tra i miei amici, e anche tra quelli della mia associazione, che talvolta accade a tutti forse perché abbiamo delle passioni, degli entusiasmi e vogliamo performare sempre molto alto su certe cose. Quando arriva la prima debolezza l’accusi più di quello che dovresti. Qualche giorno fa guardavo FB e vedevo qualcuno che faceva tante cose – una mostra, una pubblicazione – e mi dicevo: ho già 26 anni devo darmi ancora di più da fare! So che quello che vedo su FB non è la realtà, ma…

 

 

La differenza tra i 44nni e i 26nni di oggi è che noi FB non l’avevamo e passavamo più tempo gomito a gomito…La nostra vita è andata molto diversamente – non so se meglio o peggio – ma mi auguro che la vostra di questi anni si stacchi molto dalla realtà virtuale in quanto a misurazione di risultati, che vada nella vita vera

 

Ma parliamo d’altro. Mi interessa il rapporto con la tua città, Venezia e provincia: a parte il tuo ruolo nel sociale, come cittadina cosa ti senti di dare alla tua terra e cosa ti senti di ricevere?

 

Quello che sento di dare è il fatto di rimanere. Di cercare di fare delle cose belle nella città più bella del mondo e di riconoscere così la sua bellezza con i pochi strumenti che abbiamo.

Io dico sempre una cosa, e spesso i miei amici mi prendono sempre in giro perché è una carta che mi gioco spesso: mia nonna quando ci portava a Venezia ci faceva sempre vestire bene, eleganti. Venezia è bella e bisognava essere all’altezza di questa città anche mettendosi una gonnellina a pieghe.

 

 

Non sai quanto sono d’accordo con tua nonna…

 

Ecco, io non sono una persona di gran gusto o sofisticata in fatto di mise ma è importante il rispetto per una città che ci regala così tanto.

Quello che invece Venezia non ci dà non so neanche come descriverlo, è tantissimo. Non c’è un’offerta, di nessun tipo, neanche sull’affitto. Un affitto qui costa sicuramente meno che a Milano, ma a Milano hai tutto (lavoro compreso) qui invece non hai nulla. Come posso darti tanti soldi per venire in questa città che è bella ma non è e non dà niente altro?

 

 

Perfettamente d’accordo anche su questo. Parliamo di una cosa bella capitata di recente, magari sul piano personale…

 

Ci penso, non lo so: ti potrei dire una banalità – un nostro amico dell’associazione, Leonardo Nadali, è tornato oggi dall’Erasmus dopo sei mesi e questa è la cosa più figa che è successa oggi.

Poi ci sono varie soddisfazioni che stiamo avendo con l’associazione. Una delle cose di cui ultimamente vado più fiera è che registreremo una canzone dentro il carcere con la Universal Music. Con Jack Jaselli (musicista milanese) che l’ha scritta con le donne detenute. Poi è fantastico che i loro parenti e gli amici possano ascoltare le parole delle loro care ovunque nel mondo.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita, anche se sei ancora molto giovane?

 

Ho imparato che è bello vedere le altre persone felici, puoi essere felice insieme a loro ed è quello ciò che mi diverte. E che mi ripaga.

Anche il fatto di non avere molti pregiudizi è importante. L’ho imparato in tutti questi anni e anche molto al lavoro.

So che nell’intimo è sempre molto difficile e spesso quando torno a casa stanca mi accorgo di averne ancora quando rispondo male alla mia mamma o a chi mi sta vicino, ma non farsi legare dai pregiudizi è una preziosa conquista.

Ci sto lavorando da un po’ di anni e continuerò.

 

 

 

 

Quest’intervista ci è stata suggerita da una cara amica – la scrittrice e giornalista Vera Mantengoli – che speriamo di intervistare presto per raccontare anche il suo progetto letterario-psicologico all’interno del carcere.

Per seguire da vicino l’Associazione Closer anche se siete lontani dal loro raggio di azione: http://www.associazionecloser.org/

3 risposte a “Giulia, Venezia”

  1. Luciana Pizzin

    Ciao Giulia, mi fa piacere sapere del tuo impegno e mi farebbe piacere ricevere notizie sulla vostra attività. In quello che hai detto ho ritrovato alcuni tratti del tuo carattere . Ciao e auguri

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  2. admin

    Ciao Luciana abbiamo inoltrato il tuo commento a Giulia e speriamo ti risponda presto!

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  3. Giulia Ribaudo

    Cara Luciana, grazie!
    scrivici una mail a info@associazionecloser.org così poi ti racconto tutto e magari troviamo il modo di trovarci!
    a presto

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