La fine di Harold

(…)

Torna in salotto, con in mano due calici di quelli che si vedono nelle telenovele. Sono pieni di un liquido color urina.

”Mio padre ha fatto i soldi, io li gestisco”, sorride. Posa il mio bicchiere sul tavolino di legno davanti a me.

”Non glielo dai un nome al tuo amichetto?”. Indica il bicchiere di plastica appoggiato sul mio ginocchio. Sono sorpreso di vedere che lo tengo ancora stretto in mano.

”Sì be’…”. Rido e mi affretto a posare il bicchiere sul tavolo.

”No, davvero, dovresti darglielo un nome”. Larry si avvicina a un’ampia grata metallica sulla parete di fronte a noi e preme un interruttore lì vicino. ”Tutti gli animali domestici dovrebbe avere un nome”. Da dietro la grata si leva improvvisamente una fiamma, come fosse un forno crematorio. Larry spegne la fila di faresti attaccati al soffitto.

Mando giù un po’ de liquido; mi fra bruciare la bocca e il viso, ma ne bevo un altro sorso e annuisco con aria soddisfatta. Larry si siede di fronte a me, sorridendo placidamente fra un sorto e l’altro del suo bicchiere. ”A proposito, e tu come ti chiami?”.

”Insomma, dici che dovrei dargli un nome, eh?”, faccio io, sollevando il bicchiere di plastica in modo che la luce del caminetto brilli in mezzo alla giungla dell’interno.

La lumaca si è spostata dalla foglia e ora sta lentamente percorrendo tutto il perimetro della sua nuova casa.

”Sì, certo”. Sento Larry deglutire.

Guardo la traccia acquosa che la lumaca si lascia dietro. Ruoto il bicchiere per farla illuminare dalla fiamma. Ora sembra che la lumaca sputi dietro di sé una scia di fuoco. ”Allora, sei sicuro che sia un maschio?”.

”Mm-hm. E’ un maschio, sono sicuro”.

Premo l’unghia del mignolo contro il bicchiere, creando una leggera ammaccatura subito sopra il sentiero della lumaca. Quando cambia strada e il suo corpo mi scorre sopra il dito, mi scappa una risatina.

”Visto? Gli stai simpatico”. Sento lo sciacquettio del liquore nel bicchiere di Larry.

”Sì, come no”. Rido di nuovo. ”Però è furba, non ti pare? Guarda che occhietti sporgenti che ha.”

”Allora, come si chiama?”

”Harold”, dico. Faccio un sorrisone a Larry. ”Il suo nome sarà….Il suo nome da ora in poi è: Harold”.

”A Harold…”. Larry fa tintinnare il suo calice contro il mio. ”E a te…”, e tocca con il suo bicchiere il bordo di quello di plastica di Harold. Guardo la faccia di Larry attraverso il vetro, allungata e ondeggiante come se fossi sott’acqua. Finisco il drink e gli chiedo se adesso posso farmi un po’ di roba, per favore.

 

(…)

 

J.T. Leroy, estratto da Harold’s End (La Fine di Harold), 2001-2003 Fazi Editore, Roma

(EN-IT, traduzione dall’inglese di Martina Testa) ISBN 88-8112-387-8 (pagina 36-38)

 

Immagine di copertina: Travaux des Champs et Animaux de la Ferme, Robert Manson (dettaglio – opera della Collection Pinault) vista a Punta della Dogana (Venezia)

Lascia un commento