Soudade Kaadan, regista siriana in esilio

 

Soudade Kadaan è una coraggiosa regista siriana che ha fatto un film che è in molti sensi art-house ma in realtà racconta la psicologia degli indifesi coinvolti in un conflitto – e lei parla del suo conflitto, quello in Siria.

Molto attuale – sia dal punto di vista politico visto che la guerra continua sia dal punto di vista filmico – il suo Yom Adaatou Zouli (Il giorno che ho perso la mia ombra) è un film firmato da un cast totalmente al femminile capace di condurre il pubblico dove le news non arrivano: come davvero vive chi è in guerra – specialmente donne, anziani, bambini e tutti quei coraggiosi che resistono e combattono a sprezzo delle loro vite.

Devo dirlo, sono stata molto molto fortunata a guardare il film e a conoscerla davvero, perché lei è trasparente come la vedete e aperta sia al pubblico sia ad una giornalista. Non avevo nessun dubbio da subito che vincesse il premio più ambizioso alla Mostra del Cinema di Venezia, che aiuta specialmente autori di questo tipo, molto contenti: 50.000 dollari al regista e la stessa cifra al produttore del film.

Cercatela, questa pellicola, dovunque vivete: cambierà le vostre prospettive sulle zone di guerra e su cosa significhi da ultimo essere umani. Ogni singolo giorno delle vostre vite.

 

 

La tua vita sin qui

Sono siriana nata in Francia, ho vissuto tutta la mia vita in Siria. Mi sono trasferita in Libano un anno dopo l’inizio della guerra, alla fine del 2012 e sono rimasta lì fino a quando ho finito il mio film. Ho deciso di non lasciare Damasco prima di terminare di scrivere la sceneggiatura, che ho scritto all’inizio della guerra. E ho deciso di non lasciare il Libano prima di finire il film, nonostante le condizioni di residenza davvero difficili per i Siriani nel paese. Ora, mentre rispondo alle tue domande, sono in viaggio per Toronto dopo Venezia per presentare anche lì il mio film. Spero che il mio prossimo lavoro, che il prossimo passo della mia vita, sia in un paese differente, dove possa avere qualche minimo diritto come residente.

 

 

Il tuo film mi sembra oltre la necessità e ha significato anche consegnare la verità della storia. Dal suo lato umano. Da persone per persone, la politica è tagliata fuori dalla tua sceneggiatura. Che significa per te fare un film ‘necessario’? Puoi darmi un esempio di film ‘necessari’ che hai guardato da spettatrice?

La necessità di questo film è scoprire il lato umano dei siriani che vivono in un paese in guerra. Siccome le persone pensano che siamo differenti quando guardano le news in televisione sul paese – e pensano anche che questo non potrà mai accadere a loro, e pensano che siccome questa guerra è da qualche parte remota del pianeta – noi siamo differenti. No, non lo siamo. Noi non abbiano pensato mai che questo potesse accadere al nostro paese. Per questo non cerco di analizzare la situazione politica in Siria nel film, questa idea ‘la Siria è troppo complicata ora’ è totalmente fuori dalla fotografia. Perché io voglio mostrare come gli esseri umani soffrano sotto le bombe. Dato che per noi la storia è semplice: ci sono dei civili che soffrono e che cercano di soddisfare elementari e molto basiche esigenze di vita per sopravvivere giorno dopo giorno con dignità.

Ho guardato un sacco di film sulla guerra, dato che mi chiedevo come il cinema potesse raccontarla. E’ veramente capace di riflettere la faccia crudele di un conflitto? Senza alcuna sorpresa, alcuni film mi hanno dato una risposta con storie semplici come Il ladro di biciclette, Can You See Now o Hiroshima Mon Amour.

 

 

Lo stato dell’arte dell’industria cinematografica in Medio Oriente e nel mondo arabo? Il tuo film è stato finanziato principalmente dal Qatar e da fondi europei, tra cui anche l’ottimo fondo legato al Festival di Rotterdam, l’Hubert Bals.

Adesso è molto difficile fare film art-house in Medio Oriente. Molti fondi sono in sofferenza e i festival più grossi della regione hanno chiuso. Lo abbiamo potuto realizzare grazie al supporto generoso arabo, tra cui DFI, AFAC, Arab Human Rights Fund AHRF, Sanad, oppure specifici fondi siriani come Prince Claus fund, Shubbak Festival and Cinereach. Siamo anche molto grati all’Hubert Bals fund Rotterdam per il supporto, ed anche ad Aide Aux Cinemas du Monde CNC. Quello che ci ha permesso di finalizzare il film è stata soltanto la Metafora company. 

 

 

Mi puoi dire di più del tuo ruolo di regista e di quello di tua sorella come produttrice? Avete studiato insieme, avete lavorato insieme anche in altri ruoli?

Ho iniziato a lavorare su questo film con mia sorella produttrice Amira Kaadan a Damasco non appena abbiamo avuto il primo finanziamento. Poi ci siamo spostate in Libano alla fine del 2012. Mia sorella non ha mai pensato di essere una produttrice cinematografica prima di allora: tutto quello che voleva era aiutarmi a fare questo film. Sono stata fortunata ad averla al mio fianco ogni giorno di questa immensa battaglia che è stata fare il film. Un viaggio lungo 7 anni. Non importa che ostacolo avessimo da affrontare, non importa che sfide o che problemi, Amira mi rispondeva sempre: faremo questo film. Ogni giorno di riprese lei prendeva il decoupage e la lista delle inquadrature del giorno e si assicurava che fosse esattamente realizzato come l’avevo immaginato; senza chiedere niente in cambio, mettendo tutti i risparmi di una vita nelle mie mani per farlo, neanche chiedendo quando li avrebbe avuti indietro. E questo è raro. Solo una sorella può farlo.

 

 

Il film è stato girato in Libano e molti del cast dovevano viaggiare da altri paesi e avendo lo status di rifugiato non è semplice, non lo è stato soprattutto per alcuni di essi. Questa storia potrebbe essere un film nel film: ci racconti tutte le asperità e le gioie nelle riprese?

La produzione del film riflette esattamente la situazione siriana attuale. E’ veramente difficile per una produzione indipendente in Libano fare un film con un cast interamente siriano.

I siriani in esilio e i rifugiati sono sparsi nel mondo, ho dovuto fare casting in tanti paesi. I quattro attori e attrici principali: Sawsan Ercheid ha chiesto asilo in Francia, Samer in Siria, Oweiss in Libano. Per riunire tutti, con le difficoltà dei visti per i siriani in Libano, è stato complicato. Volevo che il film fosse recitato da persone della mia comunità. Il mio passato da documentarista mi ha convinta che non c’è nulla come la faccia vera di qualcuno che soffre per la guerra. Anche la mia esperienza di lavoro nel teatro interattivo mi ha fatto credere nell’impiego dell’arte per esprimere il trauma e le esperienze di vita.

I momenti che abbiamo condiviso durante le riprese, dato che la guerra era proprio tra di noi e molto vicina, ha fatto sì che ogni cosa che facessimo fosse molto intensa, ad esempio i pianti nel funerale, i pianti per i propri bambini, amici o fratelli persi durante la guerra. Quando abbiamo finito di girare, le emozioni erano ancora lì, perché in qualche maniera tutto ciò non era solo finzione. Ecco perché l’esperienza è stata assai forte per ciascuno di noi.

 

 

Il film, oltre all’incredibile e spaventosa storia di guerra, ha un forte drive art-house e l’idea dell’ombra, incluso il modo in cui l’hai realizzata per ‘sottrarla’ nei vari passaggi del film, è eccezionale oltre che ben fatta. Hai avuto ispirazioni da qualche maestro dell’arte visiva per questo?

Grazie per queste parole. Non credo nei maestri, credo solo nei film che ispirano. Sono stata ispirata da tanti registi i cui film porto sempre con me e che mi hanno toccata negli anni. Di solito cerco (e guardo) film di registe, perché le donne registe hanno un carattere molto più ‘femmino-centrico’ e non hanno approcci stereotipati sulle donne stesse.

Guardo almeno un film al giorno, a meno che non sia sul set oppure stia facendo montaggio. Quindi la lista è lunga, ti nomino solo alcune: Andrea Arnold, Claire Denis e Jane Campion. Dal mondo arabo: Hala Lotfy, Kaother Ben Hania e Daniel Arbid. Ognuno ha un approccio unico differente e un incredibile linguaggio cinematografico.

 

 

Tornerai presto in Siria?

Non posso tornare in Siria ora, il mio nome è ancora nelle liste nere.

 

 

Il libro e la musica con te adesso

Un libro che mia sorella ha scritto a proposito di un bambino in Siria che non capisce cosa sta succedendo attorno a lui, Tomorrow. Circa la musica, devo ammettere che ascolto raramente musica registrata. Sento solo di aver bisogno di silenzio dopo il lavoro su un film e adoro godermi la musica solo ai concerti.

 

 

Il tuo cibo preferito?

Lo Shakrieh. E’ un piatto siriano davvero delizioso, yogurt cotto con la carne e un piatto di riso come contorno. La mia mamma è la migliore a cucinarlo!

 

 

Un talento che hai uno che ti manca?

Non so davvero se il mio talento consista nel fare film, ma è l’unica cosa che faccio e che adoro fare. E’ talmente una passione che mi fa dimenticare dubbi sul fatto che sia dotata o meno, è solo il modo di dire storie e come immaginarle. Talenti che mi mancano? Direi un bel po’ ma non si dice poi che tutti noi che facciamo film siamo un pochino imbranati?

 

 

Dove ti vedi tra dieci anni?

Non lo so anche perché non saprei vedermi neanche tra pochi mesi. Lo stato di esilio ti fa solo sperare che il prossimo anno tu abbia più documenti che ti autorizzino a viaggiare liberamente anche se possiedi un passaporto siriano.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Che puoi perdere tutto, ma proprio tutto, in un giorno. Il tuo paese, i tuoi amici, e tutto quello che hai e che hai risparmiato. L’unica cosa da fare è protestare e continuare la battaglia. E talvolta la vita può essere magica e tu finisci a vincere un premio come il Leone del Futuro alla Mostra del Cinema di Venezia.

 

 

Il film, dopo il successo a Venezia ed a Toronto, sarà in competizione ad ottobre 2018 nella sezione first feature competition al BFI, film festival Londra.

 

#venezia75, #biennaleCinema2018

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