Vivian Caccuri, Rio de Janeiro

Le grandi piogge sferzano i giardini di Venezia: trovando riparo in una rara atmosfera di luce giallo verde, ho incontrato l’artista e compositrice brasiliana Vivian Caccuri per scoprire il valore che la narrazione e l’impegno sociale hanno nel suo vasto universo di arte performativa.


La tua vita in poche righe

Nasco a San Paolo nel 1986 da una famiglia composta di artisti-musicisti e professionisti molto pragmatici – ingegneri e matematici, mia madre è anche una programmatrice. Ho origini italiane e questo ha giocato un ruolo assai importante nella mia educazione anche perché mi sono sempre interrogata sulla provenienza delle ‘tradizioni’: alcune di esse si persero.


Questo ha acceso la tua passione per la Storia

Sì, sono sempre stata attratta dal concetto di storia perché non pensavo avessimo qualche sorta di connessione con i nostri passati. Accade qualcosa quando attraversi l’oceano e dimentichi cosa ci sia là, in questo caso parlo delle mie origini italiane.


Tanta immaginazione e cucitura di molte differenti fonti originali: ci ho visto questo nella tua narrazione della storia. Prima di tutto crei connessioni tra dati e fatti che spesso non sono visibili a tutti facilmente e molte volte esplori le culture storiche non ufficiali e non predominanti.

Sì. Appena ho cominciato a lavorare con il suono, mi sono subito interessata ai suoi aspetti di fenomenologia ma prima di questo stavo anche cercando di percepirmi in un contesto globale, dove io prendevo la parola partendo dal fatto di essere nel sud globale che è un fatto ed un’informazione importanti, specialmente essere una donna nel sud globale avendo esperienza della natura tropicale.

Appena ho capito tutto questo, il mio lavoro è cambiato nella forma.


La tua relazione con il suono è sicuramente molto professionale perché sei una anche una compositrice con all’attivo diversi corsi qualificanti sia nel tuo che negli altri continenti. Il suono è, sì, una modalità per esprimere contenuti nativi per quella disciplina ma tu usi principalmente il suono per distribuire un altro tipo di conoscenza e altre storie. Prendo come esempio le tue performance in forma di ‘lezione’ che hai già presentato a Londra ed in Italia (alla Serpentine Gallery e alla Biennale di Venezia) ma anche in opere d’arte più tradizionali (come la tua scultura che funziona come un grande ‘Carnival Sound’ che hai creato e mostrato a Londra).

Nel primo caso (opere in forma di lezioni) veicoli un’articolata spiegazione degli effetti del colonialismo da un differente punto di vista, poco percorso dalla persistente storiografia tradizionale.

Nel secondo caso, produci riassunti molto politici e localizzati di brani non detti di storia, talvolta espressi solo come un fenomeno di intrattenimento al giorno d’oggi.

Il suono e la musica sono ‘l’hardware’ che circonda queste culture, hanno il potere di sintetizzare un momento del corpo. Penso che ci sono alcuni generi che davvero dimostrano come a suo agio o per niente si senta un essere umano in questo luogo della storia.

Per creare i pezzi performativi che citavi, per esempio ho ricercato che tipo di musica veniva prodotta nel picco della febbre gialla perché penso ci possa essere una connessione…


E’ molto spirituale e narrativo, certo, e sono stata assai sorpresa in particolare di come hai ‘scritto’ l’elemento narrativo!

La tua lezione ha incluso anche un testo seminale che hai scritto, capace di portare gli spettatori (o meglio, le persone appassionate) dentro problemi assai differenti. Il modo in cui leghi argomenti storici e verità è assai narrativo. Molto speciale. Ci parli delle letture che hanno sostenuto la tua preparazione di questo pezzo performativo?

Hai ragione, è molto speciale. Il fatto che io abbracci completamente il puto di vista tropicale sull’argomento ha fatto sì che abbia letto autori e letteratura tropicali. Uno dei libri principali che ho letto per questa ricerca è stato quello di 

Robert McNeill, The Mosquito Empires (Ecology and War in the Greater Caribbean, 1620-1914). 

Parla della colonizzazione delle Americhe dalla prospettiva delle malattie che le zanzare hanno portato e come le zanzare hanno letteralmente cambiato il contesto demografico, sociale e politico di questi paesi. Per me era un tema importantissimo da portare al pubblico più vasto.


E tu conduci questo pubblico totalmente sul tuo punto di vista, puoi scommetterci. Il suono che hai creato, la tua composizione originale, in questo caso è straordinaria per lo scopo così come lo è il footage che mostri. Il suono non è però il fine ultimo per te, mi è sembrato in questo caso privilegiassi la scrittura.

Sì, questa ricerca è iniziata con un’altra che ho presentato il giorno prima rispetto a quella performance a cui hai assistito tu. Era incentrata sul perché le persone odiano il suono delle zanzare (Vivian riscrive e campiona il suono delle zanzare che volano intorno), è stata la prima osservazione di questo più vasto e più ampio problema. Sono sempre stata interessata a quei suoni che sono in posizioni subalterne, mi interessa capire perché alcuni suoni sono considerati spiacevoli, minori, etc.


Mi sembra anche abbastanza soggettivo, magari persone che vivono in diverse latitudini possono reagire in maniera diversa a determinati suoni (a parte quello delle zanzare!)

Lo è ma ci sono anche pattern. E alcuni di essi sono creati e provocati, ognuno di essi diventa una forma su cui posso lavorare. Il suono delle zanzare concorre al suono più brutto della natura. Poi sono così vicine ai nostri corpi e questo ci infastidisce per diverse ragioni. Ci sono anche diversi gradi di fastidio, più sei vicina all’Ovest più trovi maggiore fastidio e volevo capire perché. Sono stata in paesi come India ed Africa (Ghana, Nigeria) e anche lì le persone lo considerano un sono fastidioso ma con un tipo differente di stress. Quindi ho pensato che forse ci sono anche delle tracce coloniali che sono parte di questa sensazione estrema e reazione estrema che abbiamo nei confronti di esso, ad esempio il dolore immenso e le memorie di ciò che è accaduto.

Quando chiedevo alle persone la radice di questo fastidio, la risposta è sempre stata che avevano paura di essere punti perché ogni morso di zanzara poteva causare una malattia. Ma penso che ci sono anche ragioni più profonde.


La situazione dell’epidemia da Zika sta rinvangando questa sensazione ed immagino sia difficile conviverci. Ne parli anche nel tuo lavoro.

Mi piacerebbe parlare dell’incredibile conoscenza che amministri nel tuo lavoro e che doni al pubblico.

L’arte visiva oggi esplora territori che non sono spesso noti e il ruolo dell’arte è veramente al di là di ogni categorizzazione specialmente quando si ha a che fare con autori come te che letteralmente sovvertono le forme più tradizionali che le persone si aspettano di fronte a un’opera. 

Non parlo solo del fatto che padroneggi molto bene tanti mezzi di espressione – dalla composizione video a quella musicale alla scultura e via di seguito – parlo specialmente del modo che la ricerca pura ha nel governare le tue creazioni e spesso tu acquisisci queste conoscenze così solide attraverso residenze internazionali attentamente scelte e pianificate

Sì e qui non possiamo assolutamente sottostimare il potere travolgente che ha la lingua inglese nel campo delle arti. E’ il veicolo per accedere non solo alla conoscenza ma anche questo grande sistema delle residenze per artisti. Se non sei ben letterata in inglese, la tua carriera artistica è più difficile. 

Ci sono tanti lavori che parlano di questo problema e ci stavo pensando tanto, io sono privilegiata per il fatto di aver imparato questa lingua molto presto nella mia vita scolastica grazie ad un’ottima educazione. Grazie all’inglese ho potuto avere accesso, ad esempio, ai programmi di residenza in Nigeria ed in India.


Torniamo per un attimo al tuo percorso professionale: il tuo modo di fare arte è equamente diviso nella creazione di pezzi che trovano sbocco in un mercato tradizionale (ad esempio le vendite nelle gallerie) e lavori di performance. E con questi ultimi è più facile per te raggiungere velocemente grandi significati. Come trovi le finanze per le tue performance, a parte dalle residenze? Come costruisci un metodo di lavoro non così ‘endemicamente’ dipendente dai soliti bassi budget, dalle mancanze di opportunità o dalle modifiche in corso d’opera di disponibilità prestabilite?

Di solito ho idee che continuo a sviluppare nel tempo insieme agli strumenti necessari per esprimerle al pubblico. Appena ho la possibilità di mettere insieme entrambi, propongo una performance. Ma essere pronta per una performance significa che devo costantemente esercitarmi…


Il tuo tempo, la tua energia – e il fatto che tu, come tutti gli altri, devi pagare le bollette. E’ quindi più difficile costruire un budget e trovare i fondi per sostenere questo sistema di lavoro? E’ invece più facile quando si tratta di arte sotto forma di un oggetto?

Domanda delicata, dipende davvero dal tipo di performance.

Posso fare anche proposte a bassissimo budget ma anche pensare a cose più complesse che richiedono un gruppo di lavoro (per esempio altri musicisti), dipende davvero dal contesto.

Dato che lavoro con musica e suono, ho sempre bisogno di una preparazione costante. il tempo della composizione è il tempo della mia vita, non c’è certo altro modo per trovarlo.

Durante questo tempo, devo anche preparare altri lavori le cui vendite contribuiscono a sostenere le mie spese, devono essere connessi al mondo più ampio della performance perché non conosco altro modo per farlo. Non posso essere due persone allo stesso tempo ma quel che è certo è che una dimensione del mio lavoro sostiene l’altra.

Per farla breve, la parte più costosa di questo lavoro è il tempo per la composizione. Se avessi un altro modello produttivo potrebbe essere differente. Ad esempio essere completamente dedicata alla musica.


Immagino avrai avuto giorni veramente pieni a Venezia, ma sono lo stesso curiosa della tua dieta musicale e di letture…

Adesso sto ascoltando questa band greco-americana (Xylorious White) che ha un modo eccellente di fare musica storica greca con un tocco completamente contemporaneo.

Sono anche assai presa da quel che si fa in Brasile nel funk, questa dimensione super popolare dove trovi un sacco di artisti, centinaia di persone di grande talento che compongono in questo campo.

Da poco ho trovato una compilation elettronica underground che risale agli anni 80 – band brasiliane che nessuno ha mai sentito! Un sacco di loro usano il sintetizzatore e devo dire che è stata una colonna sonora ideale per questo viaggio.

Letture…Ho appena iniziato The New Dark Age: Technology and the End of the Future di James Bridle e ho appena scaricato Why I’m no Longer Talking with White People about Race di Reni Eddo-Lodge.

Quando volavo per arrivare, ho letto Casa Grande e Senzala di Gilberto Freyreuno dei volumi principali che spiega i misfatti della demografia brasiliana attraverso le architetture dei colonizzatori.


Leggi solo libri in versione digitale?

No, no! Entrambi. 


Molti padiglioni alla Biennale Arte 2019 esponevano opere o performance che comprendevano contributi scritti oltre il classico catalogo, parlo proprio di letture parte della mostra come ad esempio è accaduto al Padiglione Svizzero, uno dei più politici di questa edizione che ha inciso anche il rifiuto od il pensiero critico nei confronti di questa nuova onda suprematista che subiamo qui all’ovest ma che si è affacciata fortemente anche in Brasile ed in altre nazioni.

Cosa pensi Rio de Janeiro (la tua attuale città) ti stia dando come cittadina e cosa pensi di regalarle di rimando?

Sono cresciuta a Rio da adulta e questo significa che appena mi ci sono trasferita ho trovato uno spazio vuoto che ho ristrutturato. E’ una piccola stanza in una fabbrica abbandonata. Dopo ho invitato amici a vedere lo spazio per magari costruire anche loro i loro studi lì. Altri artisti poi si sono affacciati alla visita e dopo due anni lo spazio si è completamente riempito! Tutto è nato da me, quando ho affittato il mio dalla famiglia che possiede la fabbrica e che l’ha condotta fino a quando ha potuto. Tutto si è incentrato sullo spiegare loro l’importanza di avere uno spazio come questo in una città come Rio perché non c’era niente di simile prima. Questo è un esempio tipico di progetto che ho dato completamente alla città.

Dopo tre anni circa ci hanno detto che la fabbrica sarebbe stata messa all’asta per una birreria quindi noi saremmo stati sfrattati: ho creato una associazione no profit di 120 artisti, designer e negozianti per proteggere lo spazio.

In Brasile è difficile essere un artista senza essere coinvolto in una comunità più ampia. La natura di Rio è molto differente da posti come San Paolo dove le persone sono molto più polverizzate e distanti e quindi non si sente affatto essere parte di una comunità.

Ci sono da noi anche artisti che devolvono tutta la loro pratica all’Amazzonia e altri che si impegnano nei brutali cambi di management nelle accademie che sono stati operati dall’attuale governo.

Se sei un artista brasiliano, è davvero un grande lusso se non sei socialmente attivo. Perché questo paese ti domanda un grande coinvolgimento.

Non si tratta solo del nostro futuro, si tratta della nostra storia. Se siamo appena un poco edotti della storia della nazione soprattutto nelle arti e nella musica allora sappiamo che abbiamo sempre dimostrato nei secoli una enorme apertura e una cultura della contaminazione in ogni angolo del nostro grande paese; il pubblico qui è sempre stato interessato a quelle forme d’arte e a quelle proposte che li conducono fuori dalle loro conoscenze abituali. Dobbiamo liberarci di questi tempi bui al più presto possibile.

La conoscenza, secondo me, è l’ultima forma di ribellione rimasta e non solo nel campo dell’arte. Tu esprimi l’arte della conoscenza che oggi è la frontiera più concettuale dell’arte visiva e con la tua persona ed il tuo impegno civile riesci anche a mettere alla berlina quel pensiero tipico della gente sugli artisti concettuali, li considerano avulsi dalla realtà e dalle cose quotidiane. Specialmente la generazione di artisti più giovani come te ci può restituire – parlo sia del pubblico che delle istituzioni di ogni genere – la possibilità di vedere davvero dove l’arte stia andando.

Le storie e la storia che ci porti in maniera così chiara fa un ottimo lavoro!

Che opere di altri artisti ti hanno colpita di più alla Biennale di Venezia peraltro quest’anno curata da uno dei più famosi curatori britannici (Ralph Rugoff)?

Penso sia il video di Arthur Jafa intitolato The White Album, assai toccante, mi ha davvero sconvolta. Posseggo anche una delle sue edizioni limitate (un disco), adoro il suo approccio al suono! Quell’opera è così carica di informazioni sul genere umano! L’ho anche incontrato personalmente una volta, a Porto, in un convegno dove ero parte (Future Forum)

Quando vedevo l’opera, mi sono anche molto interessata alle reazione degli altri spettatori.


Jafa ha vinto il premio più importante del festival veneziano (Leone d’Oro)!

Quel che è successo durante le premiazioni ufficiali a maggio scorso è stato del pari assai toccante: Jafa ha pianto per la commozione e ha ringraziato i suoi collaboratori a cui ha dedicato il premio, perché secondo lui lo meritavano loro.

Ma c’è stato anche qualcosa d’altro, davvero orribile. A premiare l’artista c’è stato uno dei politici che supporta la manifestazione, il leghista Luca Zaia (presidente della Regione Veneto, una delle istituzioni pubbliche sponsor). Zaia è la nostra versione del ‘razzista suprematista’, è una presenza di lunghissima data (sin dagli esordi) del nostro partito secessionista Lega Lombarda e Veneta (che è stato anche brevemente all’ultimo breve governo del paese). Nessun membro della stampa italiana ha commentato questa premiazione anche se era evidente che premiato e premiante erano così diversi!

Dovunque tu vada oggi trovi una pungente contraddizione, il mio paese è nato su una contraddizione.

Il video di Jafa era molto commovente ad un livello molto intimo.

Penso lo sia perché cattura gli esseri umani per come sono, nel bene e nel male.

E lo stesso hanno fatto gli artisti del Padiglione Brasiliano, Wagner&De Burca!

Anche lì mi sono commossa assai, l’ho visitato con un amica brasiliana e abbiamo visto quanto noi possiamo essere fragili.

C’è così tanta forza nelle figure della comunità narrata da questi due artisti ma esse sono allo stesso tempo minacciate, la donna che canta come se fosse nel cortile impersonificando ‘i vecchi tempi’, un modo di vendere le cose che viene dal medioevo, il suono e l’intensità di quella voce mi ha colpita così forte.

Sia io che la mia amica abbiamo pianto, è stato così intenso per noi perché ha toccato parti così delicate del personale e del nazionale.


Cosa hai imparato fino ad ora dalla tua vita? Mi sembri una persona con un grande e solido piano da portare a termine!

Sì, ho un piano. E alcune cose che ho imparato sono venute velocemente mentre altre si sono sviluppate nel tempo. 

Adesso cerco di digerire il tour europeo ma questa volta l’acqua alta mi ha detto qualcosa di più: come siamo o possiamo essere flessibili e resilienti (ovunque). Ho visto i bar aperti con le persone letteralmente inondate all’interno…

Rio ha imponenti colline che sono più alte degli oceani che si alzano di livello ma ironicamente le colline sono i luoghi dove oggi vivono le persone più indigenti quindi quando le cose peggioreranno e qualcosa di simile accadrà anche nella mia città, i loro posti cresceranno di valore diventando preziosi.

Noi abbiamo ridisegnato già la nostra linea di costa un sacco di anni fa: abbiamo demolito due colline per rialzarla. Era una tecnica ingegneristica portoghese programmata dal governo brasiliano per proteggere le coste.



Il ritratto di Vivian Caccuri a Venezia è di Rodrigo Pinto, l’artista ha pubblicato un estratto testuale della sua performance a Londra alla Serpentine Galleries nella nostra sezione Short Stories, noi l’abbiamo tradotta in italiano

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