Sarah Marx, regista, Parigi

 

Oggi continuiamo a scavare nella scrittura per il cinema al femminile. Dopo aver intervistato la siriana Soudade Kaadan e la francese Maud Ameline nei due precedenti settimanali, #slowwords vi presenta oggi una regista e una sceneggiatrice francese, Sarah Marx (al centro nella foto), che rompe (quasi tutte) le consuetudini cinematografiche a cui siamo abituati con il suo primo lungometraggio intitolato L’Enkas.

Sarah ha scritto il film con due rapper, molto conosciuti: il film si dipana seguendo la vita di Ulisse, che esce di prigione e ha bisogno di fare subito un sacco di soldi perché si trova faccia a faccia con la malattia mentale di sua madre Gabrielle: ne ha bisogno per poter pagare una badante 24/7 in modo da poter lui stesso trovare un lavoro per mantenersi tutti. Non vuole essere costretto a ricoverare la madre in un ospizio e non trova fondi assistenziali che aiutino a pagare il personale necessario a curarla in casa. 

La cinepresa, e la scrittura con il suo tocco davvero unico, segue Ulisse in in modo che è sia altamente poetico che incredibilmente crudo, perché il primo film di Sarah è un perfetto assaggio di cosa è veramente il cinema per lei.

 

 

La tua vita in poche righe fino ad oggi

Ho sempre cercato di prestare la voce, di creare consapevolezza e di difendere chi non fosse messo in grado di farlo con un podio adeguato alle sue istanze.

Avevo 15 anni quando ho imbracciato per la prima volta una telecamera filmando la mia famiglia, mentre ero alla ricerca di storie su mia nonna che era appena morta.

Dopo aver studiato storia, geopolitica e dopo aver fatto tanti stage in agenzie stampa diverse, ho iniziato con la regia di video sulla cultura pop. Mentre dirigevo dei video di musica hip hop, facevo anche scuola su altri set per comprendere tutti i passi necessari a fare un lungometraggio. 

Ho girato un corto intitolato Fatum in cui il personaggio principale anche lì esce di prigione e cerca di reintegrarsi nella società. La disparità nelle opportunità, la detenzione e il fallimento nel reinserimento mi hanno spinta a dirigere un documentario all’interno della prigione di Nanterre. Ho seguito giorno dopo giorno otto detenuti in un seminario di teatro durato un anno.

 

 

Che valore ha per te l’aggettivo ‘necessario’ vicino a un film? Puoi darmi qualche esempio? Qual è secondo te lo stato dell’arte dell’industria cinematografica francese dal punto di vista di film ‘impegnati’ come il tuo, l’Enkas?  A noi sempre in ottima salute ma preferisco concentrarmi sulla domanda relativa a film come i tuoi.

Un film necessario è autentico, così come reali e veri sono i vissuti dei tuoi personaggi, senza campanelli e fischietti. Un cinema che pone domande è quello che io difendo e credo di fare.

L’Enkas pone domande fondamentali e crea empatia con i suoi personaggi. Con L’Enkas voglio che il pubblico sia nelle scarpe d’Ulisse quando la pellicola finisce. E’ una fetta di vita filmata attraverso una lente umana che promuove eroi danneggiati. Questo è il necessario per me nel cinema: dire la storia di quelli che di solito non consideriamo.

 

 

Ci parli di più del tuo ruolo di regista ma anche di ‘sceneggiatrice’ molto speciale e del modo in cui hai sviluppato uno script originale con un co-autore rapper?

L’Enkas, sviluppato come ci dicevi anche prima grazie ad un workshop in una prigione, ha ricevuto una reazione entusiasta dal pubblico in sala e dei critici alla Mostra del Cinema di Venezia dove ha avuto la sua premiere.

Ho passato otto mesi, quattro giorni alla settimana all’interno della prigione di Nanterre e quegli incontri mi hanno profondamente scossa. Ho cercato di mostrare frammenti della loro invisibile vita.

L’Enkas è nato da questo lavoro e dal mio incontro con Ekoué and Hamé.

Sei mani hanno scritto la sceneggiatura, i personaggi e le loro dinamiche, i loro scontri. 

Il nostro obiettivo era tessere una rete sociale familiare complessa ma realistica, colorata di malinconia, urgenza, incertezza sociale, sporchi trucchi, illusioni e soldi facili.

Volevamo, appunto, raccontare una storia attraverso occhi molto umani, più vicini alle persone che sperano di assaggiare quello che di buono la vita ha da offrire.

Il mio lavoro come regista de L’Enkas è iniziato il giorno che ho scritto la prima frase. Mi sono messa al posto del personaggio da quel preciso istante fino a che l’ultimo pezzo del montaggio è terminato. 

Per mettere le parole in bocca ad Ulisse, avevo bisogno di incontrare qualcuno che lo impersonificasse. Quando ho incontrato Sandor Funtek, ho trovato il mio Ulisse. Ha questa forza e delicatezza così naturali che sono nel personaggio. Mentre scrivevo mi figuravo Sandor camminare sul set: era lui senza alcuna ombra di dubbio.

Dirigere un film significa sentire le anime dei tuoi personaggi e mai, mai mettersi troppo distanti. Sul set vivi il tuo film, lo senti. Ho dato a ciascun attore una certa dose di libertà ma in un contesto preciso, rispetto alla scelta della sequenza delle riprese. 

Ho girato L’Enkas con una continuità diretta con la scrittura. Ho scelto una forma di ripresa adattabile e leggera: camera a mano, luce e scenari naturali che enfatizzano campi lunghi e riprese in sequenza. Gli attori avevano appunto una parte di libertà in un contesto preciso (Tu ti ripeti qui). Era per me essenziale lasciare loro spontaneità e quindi anche la possibilità che accadessero degli incidenti.

 

 

Il libro e la musica con te adesso

Sono una lettrice affamata. Leggere mi tiene informata e nutre la mia immaginazione. Per quanto riguarda la musica, è proprio la mia prima fonte di ispirazione. Sono cresciuta negli anni ’90 con la musica hip hop. Ascoltare un pezzo mi accende corpo ed anima. Ogni mattina, mentre mi recavo al set, ascoltavo una playlist che andava da mobb depp (un duo americano hip hop) a Wendy René (una cantautrice soul, al secolo Mary Frierson Cross). Il cinema è la stessa cosa: devi connetterti al 100% con i tuoi personaggi.

 

 

Il tuo cibo preferito?

Sono un’epicurea nel profondo e adoro mangiare. Il gusto segue il mio mood giornaliero. E’ come se mi chiedessi del mio film preferito: non appena ne trovo uno, ne brilla subito un altro in testa. Tuttavia, per rispondere alla tua domanda, adesso ho la parmigiana come cibo preferito.

 

 

Un talento che hai, uno che ti manca?

Questa è troppo introspettiva e troppo difficile da rispondere. Sono appassionata alle persone e alle loro storie, se puoi considerarlo un talento. Quando si parla di quelli che mi mancano, la lista è infinita e ti finirebbero le pagine.

 

 

Dove ti vedi tra dieci anni?

Raramente mi ‘progetto’. Sono esattamente qui esattamente ora.

 

 

Cosa hai imparato sin qui dalla vita?

Che ha più immaginazione di quanta ne abbia io.

 

 

#Venezia75, #mostradelcinema

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